I fatti del carcere casertano
Santa Maria Capua Vetere, altro che di diritto, è uno Stato di torto
Tortura viene da torto (participio passato del verbo torcere) e a guardare le immagini di quanto accaduto a Santa Maria Capua Vetere capiamo cosa significa vivere in uno Stato di Torto e non in uno Stato di Diritto. Siamo stati condannati dalla Corte Europea per i Diritti Umani per i fatti di Genova avvenuti vent’anni fa; abbiamo faticato trent’anni per introdurre il reato di tortura senza neppure riuscire ad attenerci alla definizione chiara e semplice della Convenzione contro la tortura.
Prevenire la tortura, il ricorso alla violenza e all’uso eccessivo della forza significa trasformare allora ciò che è Torto in Diritto in modo che la norma, la regola, sia innanzitutto il limite all’uso della forza arbitraria da parte dello Stato. L’autoritarismo deve lasciare il passo all’autorevolezza. E autorevole è la Ministra Marta Cartabia che ha pubblicamente condannato l’accaduto e soprattutto ha sottolineato la necessità di rafforzare l’attività di formazione del personale dell’amministrazione penitenziaria. I rapporti, le raccomandazioni, gli standard del Comitato europeo per la prevenzione della tortura insieme a quanto prodotto dal Consiglio d’Europa nel suo insieme restano una guida a sua disposizione in questo senso. “Legge e ordine” deve essere il nostro motto, inteso come sinonimo di coerenza e armonia tra idee, sentimenti e comportamenti orientati ai valori umani universali, per sottrarlo così a chi lo ha malamente monopolizzato e interpretato.
Mi riferisco a quelli del potere fine a sé stesso, quelli del “disordine costituito” per dirla con Pannella, quando parlava dei depistaggi, delle coperture istituzionali e di categoria, delle impunità e della mancanza di inchieste effettive. Le immagini, come quelle diffuse solo ora su quanto accaduto oltre un anno fa, hanno sempre una potenza comunicativa e conoscitiva ed è un bene che siano circolate. Spiegano a cosa porti il malsano senso della “legalità”, quella che ridicolizza lo Stato di Diritto, e che ha avuto deprimente espressione nelle argomentazioni fornite dal precedente Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede quando in Parlamento spiegò l’operato di alcuni agenti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere come un’operazione di “ripristino della legalità”.
Quelle immagini sono la riprova dell’utilità della videosorveglianza come utile può essere l’adozione di codici identificativi, forse più utile ed urgente di quanto poteva essere l’introduzione del taser e lo dico nell’interesse della stessa polizia penitenziaria. Di fronte ad immagini tanto evidenti quanto disperanti, come fossimo a Baghdad i pestaggi avvengono lungo un “corridoio umano” di agenti, mi sento di dire oggi, che anche per questo corpo di polizia vale il nostro Nessuno tocchi Caino. Nessuno tocchi Caino è rivolto allo Stato, al Potere che cede, degrada alla aberrante, violenta logica dell’emergenza per la quale, nel nome di Abele, per difendere Abele, diventa esso stesso Caino, uno Stato-Caino che pratica la pena di morte, la pena fino alla morte e la morte per pena. Noi siamo i primi difensori dello Stato, se ha i connotati di uno Stato di Diritto. Per questo noi diciamo: Nessuno tocchi Caino! Lo diciamo anche per non incorrere nell’errore di dare per scontata la responsabilità di chi oggi è indagato, il cui accertamento spetta solo all’autorità giudiziaria.
Per la comunità penitenziaria nel suo insieme vale il nostro Spes contra spem che non è solo un motto, è anche un metodo, un progetto, una teoria dell’organizzazione e della prassi politica. Spes contra spem è rivolto a chi decide di cambiare se stesso, convertire la sua vita dal male al bene, dalla violenza alla nonviolenza, perché sia appunto il cambiamento del suo modo d’essere – di pensare, di sentire e di agire – profetico del cambiamento del mondo in cui vive, dell’ambiente in cui vive, del carcere in cui vive. Spes contra spem è l’iniziativa più adeguata perché volta a far sì che il carcere, luogo strutturalmente concepito come patimento, penitenza (non a caso si chiama penitenziario), luogo totalitario e totalizzante, sia definitivamente superato.
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