È stato arrestato Antonello Lovato, il titolare dell’azienda nella quale lavorava Satnam Singh, il lavoratore agricolo indiano morto lo scorso 19 giugno vittima di un incidente sul lavoro in provincia di Latina, presso Borgo Santa Maria, e scaricato in strada, senza soccorsi, dopo aver subito l’amputazione di un braccio. L’ipotesi di reato inizialmente configurata era quella di omicidio colposo, ma la procura, sulla scorta delle risultanze della consulenza medico legale ha variato il capo di imputazione in omicidio doloso con dolo eventuale.

L’accusa di omicidio doloso

Il trent’enne era addetto al taglio del fieno e aveva perso l’arto mentre stava avvolgendo uno dei teli delle serre con un macchinario a rullo trainato da un trattore. Era rimasto gravemente ferito a causa del troppo sangue perso: inutile l’operazione d’urgenza che ha tentato di salvargli la vita. Proprio quella del dissanguamento è la motivazione che ha trovato riscontro anche nelle analisi dei medici e che ha portato alla definizione del nuovo capo d’imputazione.

Nella logica del dolo eventuale, sulla base dell’evidente necessità di un tempestivo soccorso e con la conseguente scelta del datore di lavoro di ometterla, si riscontra infatti l’accettazione del rischio del decesso. Se fosse stato tempestivamente soccorso, si sarebbe con ogni probabilità salvato. Nelle indagini in atto si cercherà di chiarire aspetti di contorno, ma non certo secondarmi, come quello sulle condizioni di lavoro di Satnam e di altri braccianti. Gurmukh Singh, presidente della comunità indiana del Lazio ha ricordato: “Stavamo aspettando questa notizia, eravamo arrabbiati. La cosa più brutta che ha fatto è stata quella di lasciarlo davanti alla sua abitazione invece di portarlo all’ospedale. Un incidente può capitare, ma non chiamare i soccorsi è inammissibile”.

I dettagli nell’ordinanza

Sono altri i dettagli su cui si focalizzeranno le indagini, alcuni dei quali riscontrabili anche nell’ordinanza del gip: il macchinario che ha risucchiato il braccio del lavoratore ad esempio, era privo di certificazioni di idoneità e di protezioni. Nel provvedimento, si legge anche che alle richieste di soccorso della moglie del bracciante, Soni Soni, si sarebbe limitato a dire “è morto, è morto” per provare a metterla a tacere. Nelle esigenze cautelari il giudice sottolinea l’indole di come Lovato come “insensibile e particolarmente sprezzante della vita umana”.

La versione di Lovato: “La moglie diceva di portarlo a casa. Singh lavorava a chiamata”

Prima di essere iscritto nel registro degli indagati, Antonello Lovato aveva riferito la sua versione: “Non ho chiamato l’ambulanza perché la moglie diceva di portarlo a casa e per questo l’ho caricato sul furgone di famiglia e con la moglie, preso dal panico, l’ho portato a casa, dove sapevo che avevano già chiamato l’ambulanza. Dopo essere arrivati a casa assicuratomi che avevano chiamato l’ambulanza, preso dal panico sono andato via. Poi ho lavato il furgone, non è intervenuto nessuno, ho fatto tutto da solo. L’ho lavato perché c’era del sangue ed ero e sono tutt’ora sotto shock”. Diverso il racconto della moglie di Singh: “Nell’immediatezza ho chiesto a Lovato – afferma la donna nel corso dell’audizione -, di chiamare i soccorsi, ma lui continuava a dire che era morto. Solo dopo aver insistito nella mia richiesta Antonello ha preso un furgone di colore bianco, ha caricato mio marito all’interno dello stesso riponendo l’arto staccato in una cassetta in plastica per poi accompagnarci presso il nostro domicilio. Lovato ha preso in braccio mio marito e lo ha lasciato davanti all’ingresso”. Sul rapporto di lavoro il datore ha poi aggiunto: “Lui non era regolarmente assunto, lo chiamavo al bisogno”.

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