Il parere
Sbagliato sospendere gli aiuti ai palestinesi: andate a vivere due giorni a Gaza, noi occidentali colpevoli di aver chiuso gli occhi
Nel “Si&No” del Riformista spazio alla discussione degli ultimi giorni dopo gli attacchi di Hamas in Israele: è giusto sospendere gli aiuti europei ai Palestinesi? Favorevole Anna Cinzia Bonfrisco, eurodeputata Lega, secondo cui “servono chiarezza e trasparenza sulla destinazione dei fondi“. Contrario Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera dei Deputati, che sottolinea: “Gli aiuti servono urgentemente e la rappresaglia è cinica e disumana”.
Qui il commento di Fausto Bertinotti:
Io penso che sia una delle tante manifestazioni del cinismo oggi imperante. Ma questa è particolarmente aberrante. E’ il cinismo di chi vive in un’area privilegiata del mondo. E per una prova di verità che precede la mia risposta, io credo che bisogna soggiornare uno o due giorni a Gaza. Un inferno dove tanta gente diseredata cerca di sopravvivere. Oppure facendosi raccontare le peripezie di un lavoratore palestinese che deve attraversare i varchi per andare da casa al lavoro, in Israele. Ascoltando queste testimonianze potrebbe, spero, sorgere l’idea che la solidarietà umana viene prima della politica. Si chiama fraternità. Un valore che non ha né muri, né vincoli, né confini. Allora altro che interruzione degli aiuti. Aiutiamoli, aiutiamoli di più proprio in favore della restituzione di quel bisogno di umanità di cui i palestinesi sono spesso privati. Ma la domanda suggerisce anche di farci tribunale. Di stabilire colpe, di comminare pene.
Come se fossimo innocenti. Noi Europa, noi Occidente. E invece no: siamo prima di tutto colpevoli di una gravissima omissione, per aver fatto finta che la Palestina non esistesse. Tanto colpevoli da aver fatto naufragare la proposta ragionevole dal punto di vista civile: quella dei due Stati per i due popoli. Dove sono stati l’Onu, la Nato, l’Europa, l’Italia: tutti hanno partecipato a questo affossamento. E di più: alla colpa di omissione aggiungiamo quella di aver chiuso gli occhi sulla vicenda e il destino di un popolo intero. Come se, invece della prospettiva dei due Stati per i due popoli, ci fosse, come si pensò un tempo, che quella fosse una terra senza alcun popolo che la abitasse, e quindi fosse a disposizione per essere occupata. Allora, una volta non sottratti dalle nostre responsabilità, possiamo fare appello alla nostra civiltà. Una tradizione che ha imparato dal cristianesimo il linguaggio della pace. Lo ha imparato laicamente, dalla Costituzione repubblicana. E poi dobbiamo fare appello alla nostra storia recente: abbiamo imparato che terrorismo e rappresaglia sono gemelli. Due figli della peggiore cultura della guerra, quella per cui per combattere il tuo nemico puoi fare stragi di innocenti.
Terrorismo e rappresaglia sono due parti di una vicenda che bisognerebbe mettersi definitivamente alle spalle. Contro: far vivere la cultura della pace. Anche quando le armi sembrano imporsi, come adesso si impongono, le forze di pace devono poter riprendere il dialogo, come dice giustamente anche il Pontefice. E per uscire da ciò che abbiamo alle spalle però non basta quest’atto di buona volontà, Bisognerebbe allora chiedersi cosa dobbiamo metterci alle spalle: quali delle politiche che abbiamo vissuto fin qui dobbiamo metterci alle spalle. Parlo della cultura della guerra, che purtroppo si sta diffondendo nel pianeta. E deve essere contestata fortemente. La profezia di Papa Francesco, purtroppo, si sta avverando in modo drammatico. Siamo dentro alla Terza guerra mondiale, un conflitto decomposto in conflitti regionali dalla partecipazione globale. E questo è uno di quelli. Siamo dentro alla rivolta del Sud contro i Nord e, se non si ha paura delle parole, contro l’Occidente. Non credo che negare aiuti umanitari e dimostrarsi cinici e disumani, all’acme della crisi, possa aiutare a mediare per la risoluzione di questi conflitti,
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