Il senatore Ivan Scalfarotto, IV, lo aveva detto al Riformista per primo, quando ancora a Roma stavano contando le ultime schede elettorali. «Ci vuole un’alleanza strategica con il centrosinistra», aveva detto un mese fa, anticipando Matteo Renzi.

Qual è il futuro dei moderati, di Italia Viva?
«C’è un pezzo di Italia che chiede rappresentanza e oggi ce l’ha solo parzialmente. Dobbiamo prendere atto che le europee, che danno una fotografia realistica, essendo proporzionali, ci dicono che siamo in una polarizzazione irreversibile della politica».
Da “palla al centro” a “passa a Schlein” c’è stato un bel cambio nella tattica di gioco.
«Io credo che una scelta a sinistra non c’era, fino a questo momento. L’elettore riformista di centrosinistra ha, di fatto, finito per votare qualche candidato riformista del Pd. Con grande sofferenza, perché poi spesso quel partito va in una direzione contraria a quella dei riformisti. Se guardiamo nell’altra metà campo ci capiamo meglio: uno dei segnali interessanti delle europee è stato il successo di Forza Italia, che ha rappresentato un modello – a suo modo, riformista – che contava su una scelta di campo ben definita: l’elettore di FI sapeva di votare dei moderati, dei liberali che andavano a rafforzare la destra. Un governo di centrosinistra con noi dentro sarà un governo più riformista di quello che sarebbe se noi non ci fossimo».

Come sareste dentro a quella coalizione?
«Dentro alle coalizioni si sta in modo competitivo. Noi non ci iscriviamo al Pd, e tantomeno ai Cinque Stelle. Io dal Pd sono uscito e non voglio tornarci. Se entro nella coalizione di centrosinistra con il mio partito, lo faccio per competere con gli altri partner e precisare la mia identità. Senza far venire meno i presupposti che ci uniscono, che devono prevalere sui punti che ci separano».
Modello centrodestra, insomma…
«Se ci pensa, Giorgia Meloni ha accettato di stare in coalizione quando c’erano Berlusconi fortissimo, poi Salvini fortissimo. Accettando che a guidarla fosse, come stabilisce il principio ormai in uso, il leader del partito più votato. Adesso è proprio Meloni, ma dopo vent’anni in cui è stata l’anello debole di quella compagine. Quando aveva il 3%».

Non è facile esercitare questa leva critica, nella coalizione, senza spezzarne l’equilibrio.
«Niente è facile in politica, se l’obiettivo è importante. E noi vogliamo cambiare il quadro politico del Paese, altroché fare cose facili. Se si rimane autonomi e equidistanti, come sostiene Marattin, o si va a governare con la destra o si va a governare con il centrosinistra. I nostri elettori nelle stesse consultazioni in alcuni posti eravamo con la destra, in altri con la sinistra».
Come nel caso dei Libdem inglesi…
«Che hanno fatto un grandissimo risultato in Uk, 71 seggi. Ma staranno all’opposizione di un governo riformista, quello di Starmer. Perché non incidono nella realtà se non decidono se stare con i conservatori o con i laburisti. Su questo l’esempio è quello di Macron, che alla fine ha dovuto scegliere ed ha scelto la sinistra».

Certo, sul garantismo vi voglio vedere.
«Ma anche il ministro Nordio ha deluso. Sul piano carceri, sui diritti dei detenuti siamo davanti a uno scempio».
È stato abolito l’abuso d’ufficio, almeno quello.
«E tre giorni dopo è nato un nuovo reato, il peculato per distrazione. Così chi aveva paura della firma adesso ne avrà di più».
Il garantismo è un principio di civiltà inderogabile. Su questo il ritardo culturale della sinistra è clamoroso.
«I ritardi sono clamorosi, c’è inciviltà giuridica, quando si parla di presunzione di innocenza. Un problema culturale diffuso e che attraversa trasversalmente la politica e la società, la destra e la sinistra. Sono numerose le storie di amministratori pubblici che hanno subito la Severino, che sono stati indagati con tante scuse… Mi viene in mente Falcomatà, il sindaco di Reggio Calabria che, indagato, ha dovuto lasciare per due anni. Poi, dopo che la cassazione ha annullato la sua condanna, è tornato con tante scuse a fare il sindaco. Quindi lui ha perso più di due anni da sindaco e i suoi cittadini non hanno potuto essere governati da lui per più di due anni, come avevano deciso con il loro voto».

Veniamo a Giovanni Toti. Questa vicenda delle dimissioni obbligate è clamorosa. Un esercizio di potere quasi militare, l’uso della forza coercitiva contro una istituzione democraticamente eletta…
«Un processo al momento tutto mediatico. Dove le misure cautelari sono basate sul fatto che Toti non avesse condiviso di aver commesso reati: un attacco frontale al diritto di difesa, perché così l’imputato che si proclama innocente finisce in un vicolo cieco. Molto, molto singolare. Lascia basiti».
Un minuto dopo le dimissioni di Toti, Italia Viva ha fatto sapere che sosterrà la coalizione di centrosinistra al voto, tra tre mesi. Dunque sarete in lista con Andrea Orlando e Ferruccio Sanza, del Fatto Quotidiano. Auguri.
«Se il centrodestra ha lasciato che Toti si dimettesse, evidentemente non è così garantista come dice di essere. La coincidenza temporale, quanto al nostro annuncio di stare con il centrosinistra in Liguria, è una pura coincidenza, ma non deve stupire: all’opposizione di Toti eravamo e lì restiamo».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.