L'affaire Casaleggio-Philip Morris
Scandalo Casaleggio Philip Morris, non c’è da stupirsi se se la grande stampa non ne parla
Cinquestellopoli, come questo giornale ha definito il caso dei rapporti tra una multinazionale che vende sostanze cancerogene e la setta informatica insinuatasi nel potere italiano in sodalizio con il movimento di Beppe Grillo, fatica a far notizia presso i grandi mezzi di informazione. Non sorprende. L’accreditamento dei 5Stelle, infatti, sarebbe stato impossibile se i vaneggiamenti del comico genovese e il coro dei suoi sgherri fossero rimasti confinati nelle pur gremite piazze del vaffanculo; e se a issare al potere quella violenta compagnia di sfasciacarrozze non fossero intervenuti, in solerte unanimità, appunto i plenipotenziari della stampa coi fiocchi che contrapponevano alla putrescenza della politica tradizionale la freschezza magari un po’ ingenua e sgrammaticata ma dopotutto “onesta” di quel preteso spontaneismo anti-castale.
Serissimi articoloni spiegavano che già solo il proposito di sostituire una classe dirigente tanto impresentabile e ineluttabilmente corrotta costituiva un programma di grande angolatura politica, meritevole di voto neppure a naso turato, mentre le maratone televisive tenevano fissa la telecamera sui grillini che istigavano la gente perbene ad accerchiare i palazzi del potere gridando ai parlamentari di uscire con le mani alzate. Il tutto, puntualmente giustificato dall’argomento classico nella cialtroneria delle sedizioni antidemocratiche, e cioè che “dopotutto è comprensibile, visto che ‘la politica’ non dà risposte”.
Se il caso di Cinquestellopoli non è diventato lo scandalo del potere italiano è esattamente perché discuterne metterebbe in discussione molto più che la vicenda particolare, che altrimenti si ridurrebbe a una cosa passabilmente inevitabile come il mariuolo che si infila nelle liste, il legno storto di un’esperienza politica altrimenti incensurabile: piuttosto, metterebbe in discussione la piega civile e culturale di un Paese in cui il sistema dell’informazione e la libertà di stampa sono stati usati per educare la società a imbarbarirsi. E a compiacersene. Lo scandalo dei telegiornali adunati nell’attesa del “responso” di Rousseau e l’incredibile rassegna dei quotidiani che il giorno dopo si dedicavano a commentarlo, ben raffigurava la decomposizione del terreno civile su cui si è invigorita la malapianta grillina.
E se questa dà il frutto avvelenato di qualche operazione opaca è bene non parlarne perché mandare luce sulla diramazione rischia di illuminare il fusto intero: che non è più sano e meno infestante giusto perché nutrito dall’onestà di programma anziché dallo sterco del diavolo che remunera qualche compiacenza normativa.
Occorrerebbe tenere sempre a mente che la “banda di ladri” della prima Repubblica è stata mandata a casa dagli stessi che poi hanno mandato al potere la banda degli onesti: e l’atteggiamento irresponsabile che vede corruzione dappertutto quando bisogna fare piazza pulita è lo stesso che la espelle anche solo dalle ipotesi quando c’è rischio di correità.
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