Se non ci fu trattativa tra la mafia e lo Stato piegato ai voleri del papello di Totò Riina negli anni 1992-93 (lo dice ormai una sentenza), la stessa “trattativa” è continuata negli anni successivi e fino a oggi. Dopo l’audizione alla Commissione giustizia della Camera, il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, sconfitto e umiliato dalla sentenza di Palermo che ha bocciato la sua ipotesi sulla “trattativa”, ha vergato sul Fatto una nuova analisi, inedita. E ha colto l’occasione di un parere sull’ergastolo ostativo per riproporre il tema di sempre: trattativa, trattativa. Eterna.

Per descrivere il pensiero dell’alto magistrato sull’ergastolo “ostativo”, che è quasi una condanna a morte perché non consente l’applicazione di nessun beneficio penitenziario e non dà nessuna speranza per il futuro, non dovrebbero occorrere molte righe, e soprattutto le paginate del quotidiano di riferimento dei pubblici ministeri. Semplicemente il procuratore generale di Palermo, come altri inquirenti “antimafia”, non accetta le delibere della Cedu e della Consulta che invitano al rispetto degli articoli 3 e 27 della Costituzione. Se la pena deve tendere alla rieducazione e al reinserimento del detenuto nella società, nulla può “ostare”, nulla può fermare il percorso di riabilitazione di ogni singolo prigioniero.

Il percorso non può che essere individuale, e monitorato da una schiera di operatori penitenziari e sociali oltre che giudiziari (i giudici di sorveglianza) prima che si possa aprire qualche porta o finestra del carcere. Al pm Scarpinato, e agli altri magistrati che la pensano come lui, tutto questo non basta e lo dichiara esplicitamente: l’ergastolano mafioso ha solo una via d’uscita, il “pentimento”, la collaborazione totale. Poco importa se non ha da dire nulla di nuovo, o se teme le vendette trasversali o se non gli va di tradire i suoi complici o se nei fatti ha dimostrato di non essere più pericoloso, anche perché guarito dal passare del tempo, come detto di recente da un pm più saggio come John Woodcock. La spiegazione che il procuratore generale di Palermo ha dato ieri nel suo articolo è abbastanza esplicita. Questi mafiosi ergastolani devono parlare della “trattativa”. Quale? Quella che dal 1992 non è mai cessata.

Insomma, tirino fuori i nomi dei “mandanti occulti” delle stragi. Ci risiamo, la sentenza della corte d’appello di Palermo che ha cestinato l’ipotesi tanto cara e coltivata con amore da Scarpinato, Di Matteo, Ingroia e altri loro colleghi per anni, è accantonata e rilanciata come in un’accesa partita di poker. Dal 1992 a oggi, la trattativa non si sarebbe mai fermata. Totò Riina chiedeva, per far cessare le stragi, una revisione dei processi e l’abolizione dell’ergastolo? Ecco come, nel corso degli anni, si sarebbe sviluppata la strategia degli uomini di Cosa Nostra, dentro e fuori dalle carceri, sia i corleonesi che gli uomini del latitante Bernardo Provenzano, per mostrarsi “dissociati”. Un po’ come i protagonisti dei processi di terrorismo, cioè coloro che ammettevano le proprie responsabilità senza denunciare altri. Il che apre già qualche dubbio, su questa nuova ipotesi politico-giudiziaria, che pare fantasiosa quasi quanto quella della originaria trattativa.

Anche perché, dal primo tentativo di un certo Cocuzza abortito nel 1996, di cui però non viene detto con chi avrebbe “trattato” all’interno delle istituzioni, secondo il pm Scarpinato, «le manovre proseguono sottobanco». «Nella primavera del 2000 il procuratore nazionale antimafia Vigna scrive al Ministro della giustizia Fassino che quattro detenuti, il cui capofila è Pietro Aglieri, altro fedelissimo di Provenzano, hanno chiesto di incontrare altri capi mafia detenuti per decidere la dissociazione da Cosa Nostra». La cosa non andrà in porto perché il guardasigilli consulterà Giancarlo Caselli, allora capo del Dap, il quale darà parere negativo. Quindi in che cosa consisterà la “trattativa”, nell’iniziativa di Pierluigi Vigna, che tra l’altro non essendo più in vita non può dare la propria versione dei fatti? Ma «la trattativa riprende subito il 28 marzo 2002 quando Aglieri manda una lettera a Vigna…» di nuovo per una riunione tra aspiranti alla dissociazione.

Questa volta l’iniziativa sarà bloccata da Pietro Grasso, procuratore di Palermo. E poi ancora un’altra richiesta di incontri nel carcere dell’Aquila sarà stoppata dal ministro di giustizia Roberto Castelli. Quindi lo Stato non ha mai ceduto, neanche alle ripetute richieste di incontri tra condannati per mafia nelle carceri. Che senso ha quindi questo “ultimo atto dell’eterna trattativa”? Siamo sicuri che si stia parlando di ergastolo e non della riproposizione dell’eterno ritornello sui “mandanti occulti” che, nonostante tentativi durati quasi trent’anni non sono mai stati trovati? È sicuro che esistano, dottor Scarpinato?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.