Scherma, l’ucraina Kharlan non stringe la mano alla russa Smirnova: “Sì, di fronte alla guerra, le regole diventano un mero esercizio retorico”

Nel Sì&No del giorno, spazio al dibattito sul controverso gesto che ha visto protagonista Olga Kharlan, la schermitrice ucraina che ha deciso di non stringere la mano, prima della gara, all’avversaria russa Anna Smirnova. Abbiamo chiesto se il gesto sia stato giusto o meno alla conduttrice tv Giorgia Rossi, che lo approva, e al giornalista Andrea Ruggieri, che, al contrario, lo disapprova.

Qui di seguito il parere di Giorgia Rossi.

Rispetto dell’avversario, correttezza e lealtà sono valori indispensabili e imprescindibili per lo sport. In linea generale applicare rigidi princìpi di fair play è doveroso arrivando a rappresentare una vera e propria questione di etica, di messaggi che il concetto stesso di sport deve provare sempre a trasmettere. Poche regole, semplici che tutti gli atleti possono e devono rispettare. In situazioni normali però, perché di fronte a quanto sta accadendo con la guerra tra Russia e Ucraina la teoria dei regolamenti diventa inevitabilmente un mero esercizio retorico.

Lo sport, oggi, dopo il caso della mancata stretta di mano fra l’atleta Ucraina Olga Kharlan e quella russa Anna Smirnova ai mondiali di scherma a Milano si è improvvisamente trovato giudice sanzionatore di un mancato comportamento etico – sportivo da parte di due rappresentanti di paesi in guerra. Con la volontà di includere anche alle prossime olimpiadi gli atleti della Russia, il decalogo sportivo si deve ora indiscutibilmente adattare a una situazione di politica estera che finché durerà il conflitto non potrà non coinvolgere anche lo sport.

Il caso delle due atlete a Milano non è il primo e non sarà nemmeno l’ultimo. Essere rigidi oggi da un certo punto di vista, quello del ruolo educativo ed esemplare, significa anche chiudere gli occhi, non comprendere cosa implichi un conflitto. Punire con l’esclusione dalle competizioni gli atleti russi per evitare altri casi complessi diventa decisone contraria al concetto stesso di sport. Proprio per questo serve una soluzione, urgente e ferma. Magari paradossalmente chiarendo a priori una volta per tutte che chi decide di partecipare a una manifestazione mondiale deve anche accettare di potersi ritrovare a stringere la mano ad un rappresentate di un paese ostile. Come oggi è accaduto nel caso di Russia e Ucraina.

Chi non accetta può essere escluso senza deroghe, chi invece accetta di esserci deve comportarsi secondo i valori dello sport. Concetto rappresentato alla perfezione dalla scelta di qualche ora prima dello schermidore ucraino Igor Reizlin che ha liberamene deciso di non presentarsi in pedana contro il russo Vadim Anokhin, come da raccomandazione fatta ai suoi atleti dalla Federazione ucraina. Restano in primo piano anche le disposizioni del CIO che prevedono la partecipazione degli atleti russi, catalogati come atleti internazionali neutrali che come tali dovrebbero restare lontani da questioni politiche. Le Olimpiadi si avvicinano, Parigi è quasi pronta ad accoglierle, 26 luglio 2024 la data, manca dunque poco meno di un anno.

Da un lato resta viva la speranza di una fine desiderata e auspicabile del conflitto tra Russia e Ucraina, dall’altra il CIO ha già avuto la prova che l’equilibrio sportivo è oggi più delicato che mai. La soluzione non può essere trovata nella speranza di risoluzione del conflitto, una regola generale deve essere stabilita senza lasciare spazio a decisioni da prendere di volta in volta analizzando i singoli casi in questione. Il risultato sarebbe soltanto quello di lasciare libera interpretazione in modo alquanto arbitrario, soggettivo e discutibile proprio in una manifestazione così importante come l’Olimpiade.

Giochi che il destino ha voluto proprio nella patria della libertè, egalitè, fraternitè. Ed è proprio il concetto di libertà quello che più conta, base fondante e fondamentale del vivere comune così come il rispetto del prossimo. In gara ci sono e ci saranno atleti di ogni nazione che sono anche e soprattutto essere umani. Ma lo sport non è e non deve diventare una mera questione di politica internazionale. Campo che nulla c’entra con la filosofia di Pierre De Cubertin, il padre dei giochi moderni: “L’importante non è vincere ma partecipare”. Come? Lasciando inevitabilmente a casa, fuori dal territorio sportivo qualunque tipo di conflitto.