Nelle ultime elezioni regionali, il centrodestra ha vinto nove volte mentre il centrosinistra una, e da quando Elly Schlein è segretaria il risultato è di sei a uno, con la sola vittoria della grillina Todde in Sardegna. Per la nona volta Pd e M5S perdono un elezioni regionale in cui corrono insieme. Un dato -purtroppo- chiaro che sbiadisce i pur ottimi risultati ottenuti, tranne rari casi come la Basilicata, dalle liste del Pd, da ultimo in Liguria ma anche alle elezioni europee e alle amministrative di giugno. Risultati di cui va dato certamente merito alla segretaria.

Tutti gli interrogativi nel centrosinistra

La cartina dell’Italia, con i colori delle Regioni, restituisce un quadro sconfortante, al Sud Puglia e Campania e al centro Nord Toscana ed Emilia e poi il nulla. Quindi ad un Pd in salute corrisponde un centrosinistra in enorme difficoltà: e non solo per i voti, ma per l’oggettiva difficoltà di darsi un progetto politico coerente e convincente che entri nel cuore e nelle teste degli italiani, che gli dia speranza e che sia intelligibile e chiaro. Oggi questo progetto non c’è in politica estera, economica, non sulla giustizia dove non portano bene i rigurgiti giustizialisti come dimostra la Liguria. Va un po’ meglio sui diritti sempre che i cinque stelle non cambino nuovamente idea (nel 2018 non ci consentirono di approvare lo ius scholae). E se vincesse Trump, davvero questa alleanza ancora acerba potrebbe deflagrare definitivamente. Peraltro, la crisi dei 5 stelle, il travaglio in atto di un partito che tenta di uccidere il Padre, diventando oggettivante altro rispetto alla stessa genesi del movimento, delinea un futuro pieno di interrogativi.

Il ‘masochismo elettorale’: obbedire ai diktat di Conte

In questo quadro due competizioni regionali perse hanno un connotato comune: la Basilicata e la Liguria.  In entrambe Conte, a pochi giorni dalla presentazione delle liste, ha imposto diktat: in Lucania, no ad Azione e Pittella, dopo aver lasciato andare anche IV, costretta a fare una civica collegata a Bardi. In Liguria un secco no a Renzi che pure aveva ottenuto un buon risultato alle europee. La matematica, ma ancor più la politica, dicono chiaramente che si è trattato di scelte folli, di “masochismo elettorale”, come mi è già capitato di definirlo. Si costruiscono coalizioni che mettono i nostri candidati in difficoltà e addirittura si regalano agli avversari non solo pezzi importanti di ceto politico, ma soprattutto idee e proposte che, pur minoritarie, attraggono elettorato e rassicurano sulla capacità di governare e risolvere i problemi, fuori da ideologismi e populismi. Si costruiscono coalizioni che hanno in nuce il seme della sconfitta.

Cosa vuole fare il Pd?

Conte non poteva non saperlo, ma è stato ostinatamente spregiudicato nel far saltare il banco; non mi spingo a pensare male, come insegna Andreotti, e non voglio pensare che la sconfitta di candidati Pd non addolori più di tanto i nostri alleati. Penso, tuttavia, che tra la tetragona difesa delle sue convinzioni e il rischio che il centrosinistra potesse andare incontro a una sconfitta, Conte abbia sempre scelto la prima strada. Ed ora -di fronte al disvelarsi di questa realtà- non si può più eludere il tema dirimente: in che modo il Pd intenda esercitare la sua leadership che, seppure confortata dagli elettori, è attualmente anemica sul piano dei rapporti con gli altri partiti.

Intendiamoci, i numeri sono importanti ma non sono sufficienti. Oggi questa non è ancora una leadership politica nelle alleanze, ove subiamo veti e non imponiamo la nostra volontà, non lo è nelle proposte, nei programmi, nell’essere perno indispensabile di progettualità, idee innovazione coraggio. Elementi indispensabili per costruire un’alleanza di governo. A meno che non ci basti specchiarci dentro uno splendido minoritarismo: ma non è per questo che è nato il Partito Democratico.

Salvatore Margiotta

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