La situazione del centrosinistra oggi in Italia è connotata soprattutto dall’effetto della scelta di Elly Schlein come segretaria del PD. Questo emerge in modo chiaro da tutti i sondaggi condotti a livello nazionale. Schlein ha dato un nuovo impulso e un nuovo slancio al partito dal punto di vista dei consensi virtuali, attirando specialmente l’attenzione dei giovani e di una quota di coloro che si erano astenuti alle ultime consultazioni politiche dello scorso settembre. Se questi dati troveranno conferma nelle elezioni “vere” (ma la prima scadenza importante è piuttosto in là nel tempo – tra circa un anno – ed è rappresentata dalle elezioni europee.
Nelle consultazioni più recenti, che si sono tenute in Friuli, l’effetto Schlein non si è visto, ma va detto che hanno contato molto alcuni elementi locali e che, nell’insieme, il voto ha riguardato un numero relativamente contenuto di elettori. E anche le prossime consultazioni del 14 maggio sono connotate da molte problematiche locali) il Pd confermerà e accentuerà il sorpasso elettorale sul partito di Conte e accentuerà (se gli equilibri in segreteria lo permetteranno) lo spostamento a sinistra (una sinistra americana fra Obama e Alexandria Ocasio-Cortez) del partito. Che però, malgrado la nuova leader sia così “visibile” e talvolta “dirompente nella comunicazione” resta tutto sommato una oligarchia (come lo era la DC e non un partito a leadership forte come il PCI di Togliatti e di Berlinguer) difficile da gestire, come sanno tutti i precedenti segretari.
In realtà, anche indipendentemente da Schlein (ma l’ingresso di quest’ultima sullo scenario politico ha accentuato questa caratteristica), il problema della sinistra (o, come sarebbe meglio dire, della non-destra) in Italia è che il sistema partitico sembra riprodurre un bipolarismo zoppo (Salvatore Vassallo lo definisce asimmetrico), visto che nell’universo della non-destra le posizioni sono molto diverse (nello stesso PD – senza pensare agli altri segmenti della stessa parte politica) e, specialmente, lo sono in misura sostanzialmente maggiore che nel centrodestra. E questo non è solo responsabilità dei leader e dell’offerta politica. Dipende molto anche dalle scelte dei cittadini – sulle quali come in ogni sistema basato su consultazioni libere e competitive è necessario riflettere. In realtà, la sinistra italiana ha sempre vissuto dall’inizio del secolo scorso un più o meno accentuato conflitto fra l’ala massimalista e quella moderata – o come forse è più opportuno dire – socialdemocratica.
Ma non si tratta solo del caso italiano. Se guardiamo ai partner europei con i quali è più ragionevole confrontarci, in Francia Mitterrand era riuscito a ridurre i comunisti ai minimi termini, ma dopo la sua morte – in particolare sotto la presidenza Hollande – il PS si è spaccato fra moderati e massimalisti. I primi nel 2017 sono confluiti nel progetto centrista di Macron, mentre i secondi sono finiti nella avventura estremista di Mélenchon. In Germania, i comunisti erano all’Est e la sinistra nella Germania occidentale era interamente controllata dai socialdemocratici, che hanno governato in maniera illuminata con Brandt e Schmidt e poi con la CDU e ora con i verdi e i liberali. Nel Regno Unito, il Labour ha oscillato tra posizioni moderate e posizioni più radicali, tutte interne al partito (data la legge elettorale che tiene in vita il duopolio dei tradizionali partiti) – ma è solo durante la prevalenza dell’ala moderata che il Labour ha vinto le elezioni.
Anche in Italia il PD contiene le due anime, ma quella moderata è troppo debole, ed è poco consistente pure fuori del PD, mentre l’ala radicale è presente in modo relativamente nutrito anche al di là del partito.
La conseguenza è che il quadro che caratterizza oggi il nostro paese vede un Pd diviso e un centrodestra assai più unito, ancor più da quando è predominato decisamente da Giorgia Meloni. È soprattutto lei, infatti, ad avere attratto (e a continuare, secondo i risultati dei sondaggi, ad attirare) i voti degli elettori: lei personalmente, assai più del suo partito. Tanto che, come si è visto anche di recente, il suo livello di popolarità personale, registrato dalle ricerche di opinione, rimane alto anche nel momento in cui i consensi a FdI si erodono.
La Lega, viceversa, non gode in questo momento di una grande attrattività, pur mantenendo egregiamente una relativamente vasta quota di consensi. Al suo interno, la tradizionale dicotomia tra Salvini e i Governatori del Nord – con Giorgetti – si è attenuata grazie specialmente alla maggior prudenza del “capitano” in quest’ultimo periodo, fermo restando che la forza dei secondi si va comunque accentuando: le elezioni in Friuli hanno evidenziato questo processo. Le due ali, o pretese tali, sono in ogni caso “condannate” a stare insieme, anche in vista delle elezioni europee nelle quali, come si sa, si adotta un sistema elettorale integralmente proporzionale. La doppia presenza di due leader donne, entrambe brave a comunicare, sta progressivamente innescando un processo di trasformazione del sistema politico del nostro paese in una sorta di bipolarismo “personale”, lasciando di conseguenza poco spazio al centro (come gli stessi risultati friulani sembrano suggerire).
Naturalmente, non è detto che il quadro così caratterizzato duri per molto in futuro: l’Italia e gli italiani ci hanno abituato a radicali mutamenti, anche repentini. Ma occorre fare attenzione a non sopravvalutare di volta in volta il significato di specifici esiti elettorali, ai quali si fa talvolta invece riferimento. Renzi e Salvini, ad esempio, hanno avuto ottimi risultati solo alle elezioni europee, non a quelle nazionali che, sul piano del potere effettivo, sono assai più importanti. In realtà, il lungo periodo dei governi di Berlusconi ha polarizzato il paese a svantaggio della sinistra, piuttosto che favorire l’alternanza al potere – come ha sostenuto spesso il cav. Senza una poco probabile crescita delle posizioni di centro moderato alternative alla destra, la non-destra sembra per ora condannata ad una poco costruttiva opposizione.