Giorgio Merlo mi rivolge, in un articolo su Il Riformista, qualche critica politica circa il mio modo di intendere la funzione di un’area liberale e di centro, nello schieramento alternativo alla destra. Lo fa con nettezza e garbo. D’altra parte egli è un quadro e dirigente politico, cattolico e di estrazione democristiana, con il quale nel passato ho avuto l’occasione di interloquire più volte. Eppure, nelle sue parole avverto un certo pregiudizio e una sorta di “processo” alle intenzioni che derivano principalmente, secondo lui, da una mia antica appartenenza al Partito Comunista Italiano.

Dunque, sarei incline a manovre dall’alto e a una scarsa considerazione degli alleati ritenuti poco più che “indipendenti” di sinistra. Tanta acqua è passata sotto i ponti e anche i comunisti italiani sono stati cancellati dalla storia, per l’inappellabile fallimento dell’Urss e dei Paesi dell’Est. Tuttavia, ricordo che essi, nella loro impostazione del tutto originale, consideravano e rispettavano il mondo cattolico e la Dc, sua principale rappresentanza politica, tanto da tentare con essa, nella sua interezza, di governare il Paese. Non interloquirono con le “schegge” più vicine a loro, piuttosto si illusero di trasformare strutturalmente l’Italia rispettando l’assillo di Moro: l’unità dei democristiani, imprescindibile per poter tentare strade inedite.

Pd Schlein non è estremista e radiale

Ma non voglio intrattenermi sul passato. Piuttosto sulla prospettiva dell’oggi. Ed essa inevitabilmente chiama in causa quel 10% di elettorato italiano profondamente democratico, che non si vuole, tuttavia, mischiare in uno stesso partito con la sinistra. Andiamo ai fatti. Definire il Pd della Schlein estremista e radicale mi pare irrealistico. Schlein ha avuto il merito di rendere più chiara la nostra posizione su temi fondamentali: l’ambiente, i diritti, il lavoro, i salari, la difesa dello stato sociale e della sanità pubblica. Tuttavia, ricordo che mai come in queste elezioni europee le liste sono state pluraliste e i risultati delle preferenze di personalità definite nel “gergo” corrente più moderate o riformiste, sono stati decisivi per la vittoria. Penso a Bonaccini, Decaro, Gori, Nardella e tanti altri…

Renzi e il pluralismo dem

La verità è che, a un certo punto, Matteo Renzi ha ritenuto impossibile agire in tale pluralismo, preferendo tentare la formazione di un nuovo soggetto politico, Italia Viva. E tale decisione non è stata assunta e mantenuta quando a dirigere il Pd vi era un monolitico “Political Bureau” rosso, bensì il mite Zingaretti e in seguito l’ancora più mite e cattolico Enrico Letta. Si aggiunse, con il tempo, Carlo Calenda. Il tentativo di camminare insieme da parte di Calenda e Renzi, per rendere solido il nuovo polo libertario e liberale, è andato via via in frantumi. I due leader si sono divisi, un po’ per ragioni caratteriali e un po’ per ragioni politiche, portando così le loro formazioni a non raggiungere, entrambe, il consenso necessario per eleggere rappresentanti al Parlamento Europeo.

Rimettere a posto i cocci

Da qui, e non dalla mia volontà di ridurli a indipendenti di sinistra, è nata una discussione, un disorientamento, innanzitutto nel loro elettorato. Tentare di rimettere a posto i cocci e di rendere permanente, seppur autonoma, la loro presenza nel campo democratico non mi pare cosa di poco conto. Ed è persino naturale ipotizzare che questo lavoro lo possano svolgere alcune grandi personalità che si riferiscono a quell’area, a quella tradizione nella quale militarono nel passato fior fior di dirigenti e statisti. Da Malagodi a La Malfa. Da Visentini allo stesso Saragat, che pure guidava i socialdemocratici italiani. Occorre farlo con rispetto. Penso, anche, senza incattivirsi sulle grandi divergenze del passato, o chiedendo una umiliante revisione della propria storia, che comporterebbe risollevare reciproci odi. Lo stesso Renzi ha dato segnali di apertura a questo ragionamento. Rutelli, che nonostante l’età rimane una risorsa fresca e di straordinario talento, ha condiviso l’impianto della mia analisi, anche se si è sottratto (per ora) ad un suo intervento in prima linea; chiamando in campo energie più giovani.

Uniti oltre il fascismo

Ma perché oggi questa prospettiva avrebbe maggiori possibilità di realizzarsi? Come dice Merlo, per unirci non basta paventare il ritorno del fascismo storico. Anch’io penso che il pericolo non venga principalmente dalle centinaia di braccia tese durante la commemorazione delle vittime di Acca Larenzia. E tuttavia un pericolo c’è. Il ritorno di sentimenti radicati di razzismo, di antisemitismo, di intolleranza verso l’altro e verso ogni espressione libera della propria vita, rendono ancora più torbido il senso delle cosiddette riforme proposte dal governo Meloni. A partire dal premierato, che non si sta discutendo in termini astratti e tutti assieme, con l’apporto di giuristi e costituzionalisti; piuttosto brandito come una clava, al fine di portare ordine e disciplina in una Paese che nella sua normalità dovrebbe assomigliare alla banalità del male del generale Vannacci.

L’allarme non riguarda il ritorno al passato; piuttosto il nostro presente, nel quale le radici peggiori della nazione renderebbero ancor più inquietante la stretta illiberale e conformista che si sta tentando di imporre. Questo allarme dovrebbe unirci tutti. E quando Merlo chiede cosa dovrebbe unire le diverse componenti del centrosinistra, rispondo con semplicità: la difesa e l’inveramento progressivo della nostra Costituzione, di fronte alle mutate condizioni della storia italiana. La Costituzione indica principi e un programma da realizzare, permanente valido e permanentemente da innovare. Qui si possono trovare la volontà e l’ispirazione per riprendere insieme la strada di una ripresa repubblicana.