Il 5 maggio scorso, su queste pagine, abbiamo criticato aspramente l’annuncio dell’Anm sullo sciopero che si è, poi, effettivamente tenuto il giorno 16. I risultati di tale astensione sono ormai noti. Hanno condiviso la scelta solo il 48% degli iscritti. Una severa sconfitta che, come un macigno, va a colpire un’associazione già, in parte, fortemente delegittimata dopo la famigerata vicenda Palamara. Segnali di forte sbandamento vi erano stati, del resto, già a gennaio quando l’Anm aveva indetto un referendum consultivo on line sulla riforma del sistema elettorale del Csm. Vi partecipò solo la metà degli iscritti.

Nel precedente articolo avevamo definito lo sciopero «incomprensibile e deleterio» ed evidenziato come il potere giudiziario non può travalicare i suoi limiti, invadendo le competenze degli altri due poteri, quello legislativo ed esecutivo. Avevamo, inoltre, rilevato come, almeno fino a quel momento, il Capo dello Stato, che presiede il Consiglio superiore della magistratura, fosse rimasto in silenzio. Silenzio istituzionale che perdura e può essere comprensibile. Poco istituzionale, invece, sono le azioni dell’Anm che evidentemente non ha raccolto le raccomandazioni fatte, proprio dal Presidente della Repubblica, in alcuni discorsi pubblici. Primo fra tutti quello in occasione del suo secondo insediamento nel quale ha ribadito che «l’ordinamento giudiziario e il sistema di governo autonomo della magistratura devono corrispondere alle pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini… è indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento… superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono restare estranee all’ordinamento giudiziario».

Tutto questo non sta avvenendo ed è singolare che proprio chi è chiamato quotidianamente a giudicare le azioni degli altri, voglia poi sottrarsi ad un giudizio complessivo sulla sua attività lavorativa. La valutazione, infatti, operata comunque da altri magistrati, non andrà fatta su singoli provvedimenti, ma sull’intera attività svolta in un determinato periodo. Insomma, «nessuno mi può giudicare, nemmeno tu», caro collega. Un unicum che nell’impiego pubblico – perché, è bene precisarlo, di questo parliamo – non esiste. Non a caso un giudizio sulla capacità professionale vi è già, ma del tutto inefficace, corrispondendo, di fatto, a «come siamo tutti bravi ed efficienti». Il 99,2% di giudizi positivi dimostra la totale inutilità dell’attuale procedura, a fronte di migliaia di errori giudiziari e di ingiuste detenzioni all’anno, una ogni tre giorni.

Lo sciopero, dunque, rappresenta la difesa di privilegi ormai indifendibili e, poiché la riforma annunciata incide, allo stato, davvero poco rispetto a quanto si dovrebbe fare – pensiamo, tra l’altro, al gran numero dei magistrati che dal potere giudiziario vanno ai vertici del potere legislativo, per poi tornare al giudiziario come l’attuale presidente dell’Anm – la protesta ha avuto il valore di mettere in guardia la politica sull’indisponibilità a proseguire sulla strada delle riforme. Le statistiche ci dicono che in quel 43% che ha aderito allo sciopero la gran parte sono giovani magistrati. Non è un bel segnale, perché rappresenta la difesa di una rendita di posizione che si ritiene aver conquistato superando il concorso. Ai giovani va insegnato che il loro lavoro è di grande responsabilità perché hanno in mano la vita delle persone e spesso la stessa economia del Paese; che non esistono procedimenti semplici o difficili, perché ogni fascicolo è di estrema importanza per chi viene coinvolto in un’indagine. E questo deve bastare.

Avverso lo sciopero dei magistrati sono insorti i penalisti italiani che, con una manifestazione a Torre Annunziata, hanno duramente criticato la scelta dell’Anm. L’incontro, voluto da tutte le Camere penali della Campania con l’unica eccezione di quella di Napoli – ancora una volta isolata nelle sue scelte politiche –, ha visto gli interventi, tra gli altri, dell’onorevole Enrico Costa, dell’avvocato Gaetano Sassanelli, responsabile dell’osservatorio giudiziario Ucpi, del presidente del Tribunale di Torre Annunziata Ernesto Aghina che, pur difendendo la posizione politica dell’Anm, ha dichiarato di non aver aderito allo sciopero, come del resto il presidente del Tribunale di Napoli, Elisabetta Garzo. I lavori, aperti da un’appassionata relazione dall’avvocato Nicolas Balzano, componente della Giunta nazionale Ucpi, si sono conclusi con l’intervento del presidente dell’Unione Camere penali italiane, Gian Domenico Caiazza, che, criticando le ragioni dello sciopero, ha definito la riforma un primo passo, ma timido e modesto, rispetto a quello che andrebbe realmente modificato.