Il 25 novembre a Roma
“Lo sciopero è l’extrema ratio, serve senso di responsabilità”: l’intervista al segretario Cisl Luigi Sbarra
“Se diventa strumento di antagonismo politico rende un pessimo servizio. Il 25 novembre in piazza senza gravare sui lavoratori e creare disservizi”
Segretario Sbarra perchè la Cisl venerdi non sciopera? «La Cisl considera lo sciopero generale lo strumento estremo dell’azione sindacale. Ci sono altri mezzi efficaci di pressione come una grande manifestazione di sabato che e’ quello che noi metteremo in campo il 25 novembre a Roma in piazza Santi Apostoli senza gravare sulle tasche dei lavoratori, senza creare disservizi ai cittadini e senza riversare il conflitto nei luoghi di lavoro e nelle imprese, che nulla hanno a che fare con i contenuti della manovra».
Perché condividete la manovra? «Non è la manovra espansiva che avrebbe voluto la Cisl. Ma pur nella limitatezza delle risorse ha recepito diversi elementi avanzati dalla Cisl in questi mesi di trattativa e mobilitazione. Tra le luci ci sono l’operazione sul cuneo contributivo e sull’Irpef, l’innalzamento della no tax area per i lavoratori dipendenti a 8500 euro, l’azzeramento delle tasse sui fringe benefit fino a 1.000 euro per chi è senza carichi familiari, la proroga della detassazione al 5% dei frutti della contrattazione decentrata, l’ intervento su famiglia e natalità, i 13 miliardi stanziati su Sanità e PA nel prossimo biennio, 2 dei quali in busta paga per compensare la vacanza contrattuale. Sono nostre conquiste, sbagliato non riconoscerle. Poi, certo, ci sono anche le cose che vanno assolutamente cambiate. Sulle pensioni vanno apportati correttivi nelle penalizzazioni su quota 103, sul taglio taglio delle rendite del personale sanitario, dei maestri dei lavoratori degli enti locali. Chiediamo maggiore flessibilità, una pensione di garanzia per i giovani, rafforzare Ape Sociale e Opzione donna. Servono più risorse su sanità, istruzione e pubblico impiego, dove vanno anche sbloccate le assunzioni e la stabilizzazioni del precariato. Invochiamo più forti strumenti contro la povertà, maggiore sostegno alla disabilità e più risorse sulla non autosufficienza».
Insomma è rottura sindacale? «Diciamo che ci sono sensibilità distinte nell’interpretare l’azione e il ruolo del sindacato, e anche diversi modi di valutare i risultati ottenuti con il la mobilitazione e il negoziato. Per noi la via maestra resta il dialogo, la contrattazione nelle aziende e ai tavoli pubblici, facendo i conti con la realtà senza pregiudiziali. Per questo avevamo proposto di mettere in campo una iniziativa unitaria nazionale di sabato non solo per chiedere modifiche alla manovra ma anche per rilanciare il progetto di un grande patto per lo sviluppo, il lavoro e la coesione. La cosa non è andata in porto, Cgil e Uil hanno scelto liberamente la strada dello sciopero. Andremo avanti per la nostra strada».
Secondo voi è giusta la nota del garante? «Non tocca a noi entrare in questa querelle. La legge sulla regolamentazione dello sciopero nel nostro paese garantisce sia il diritto costituzionale dei lavoratori di scioperare, sia quello dei cittadini di avere i servizi pubblici essenziali. La commissione di garanzia ha il compito di far rispettare questo giusto equilibrio. Trovo esagerati i toni da una parte e dall’altra. Concentriamoci sulle soluzioni dei problemi senza piantare ogni volta bandierine ideologiche. Discutiamo di come far ripartire il Paese, dando centralità e protagonismo al lavoro».
Landini non farà ricorso, vuol dire che aveva ragione la commissione? «Questo bisognerebbe chiederlo alla Cgil. Io mi limito a dire che la Comissione è un organismo autonomo i garanzia e che le regole sullo sciopero generale sono chiarissime, così come le condizionalità che ne vincolano le deroghe. Il diritto di sciopero non è mai stato messo in discussione. Saremmo i primi ad alzare barricate».
È giusto che le aziende paghino per uno sciopero contro il governo? «Assolutamente no. Tanto più in questa fase, in cui invece abbiamo bisogno di unire la società in un fronte riformatore, responsabile, capace di guardare a obiettivi comuni e di far evolvere le relazioni industriali nel segno della partecipazione».
Otto scioperi su dieci sono di venerdi, ha ragione Salvini? «Francamente trovo un po’ stucchevole questa retorica del venerdì. Bisognerebbe concentrarsi sulle ragioni del massimo strumento conflittuale del sindacato, legandolo sempre a obiettivi proporzionati e realistici. Il giorno è tema da bar. Mi sembra più importante ricollegare il mezzo ai giusti fini, evitando lo svilimento, la compulsiva ripetizione annuale, il rito fine a se stesso che alla lunga logora la rappresentanza sociale e dà spazio ai populismi».
Si è snaturalizzato il senso degli scioperi? «Lo sciopero e’ una grande conquista ed un diritto che non deve essere messo in discussione perche’ e’ un fondamento della democrazia. Per questo va esercitato con grande senso di responsabilità».
È vero che Cgil fa politica contro il governo di destra? «Non esprimo giudizi sugli altri sindacati. Posso dire quello che è la Cisl: un’Organizzazione che vuole assumere su di sé la responsbailità della delega che milioni di persone le concedono. Una responsbailità che si esercita nel negoziato, senza pregiudizi, con tutti i governi e le controparti datoriali, conquistando risultati con il sudore della trattativa. Sia Pastore che Di Vittorio indicavano lo sciopero come extrema ratio sindacale. Se diventa invece strumento di antagonismo politico rende un pessimo servizio ai lavoratori e allo stesso sindacato».
Secondo lei fa bene Bombardieri a seguire Landini? Non sarebbe più utile smarcarsi dalla Cgil per puntare a un sindacato più riformista? «Anche qui: chieda al diretto interessato. Io ricordo gradi stagioni in cui la Uil guidava insieme a noi importanti stagioni di riformismo sindacale. Penso all’accordo di San Valentino, alla stagione della concertazione degli anni Novanta, agli accordi con Marchionne alla Fca. Continuo a ritenere che il profilo sindacale oggi dentro questa tormentata stagione di cambiamento non può che attestarsi sul terreno della responsabilità,del pragmatismo , del riformismo sociale , dell’autonomia , della partecipazione , della valorizzazione della contrattazione collettiva e da questo versante sfidare i decisori pubblici e gli interlocutori sociali ad aprire una nuova stagione di corresponsabilità nelle scelte strategiche».
Ci sono dei settori, tipo l’industria, su cui il governo fa poco. Si può intervenire meglio? «Abbiamo raggiunto, cooperando, risultati importanti, penso alla ex Whirlpool. In altri, invece, navighiamo a vista come per l’ex Ilva. Ma va riconosciuto che il ministro Urso non si è mai sottratto alle nostre richieste di incontro. Di certo il Paese deve ritrovare la bussola di una politica industriale all’altezza del terzo millennio. Bisogna sostenere le reindustrializzazione e governare le transizioni digitali ed energetiche, rilanciare settori strategici, come l’automotive, l’acciaio e l’industria pesante, la chimica, l’informatica, il tessile, l’agroalimentare, va data risosta concreta alle crisi aziendali salvaguardando produzione e occupazione, riqualificando le competenze e gli ecosistemi produttivi. E poi sostenere le Pmi con forti interventi sulle nuove tecnologie, sul rafforzamento della dimensione aziendale, sulla internazionalizzazione. Alla base di tutto serve il più grande investimento di sempre sulla formazione, specialmente digitali, dove siamo in grave ritardo».
Secondo lei ha fatto bene il governo a tagliare il reddito di cittadinanza? «Il reddito di cittadinanza ha funzionato bene come misura di contrasto alla povertà, ma è stato un fallimento sulla partita delle politiche attive per gli occupabili. Di certo il Paese non può rinunciare a una misura universale di contrasto alla marginalità e alle fragilità. Bisogna fare di più».
Sul salario minimo è stata messa una pietra sopra? «Il Cnel ha dato orientamenti condivisibili. Ora penso che occorra muoversi conseguentemente. Per la Cisl lo strumento migliore resta quello di rinnovare ed estendere contratti maggiormente diffusi e applicati. Un salario fissato per legge farebbe esplodere il lavoro nero, darebbe la stura a tante azienda ad uscire dalla cornice dei contratti collettivi attestandosi sui minimi per legge, renderebbe più difficili i rinnovi per la fascia media. E dunque, complessivamente, schiaccerebbe la dinamica retributiva verso il basso».
E la vostra proposta di legge sulla partecipazione? «Ormai siamo vicini al traguardo: il 28 novembre depositeremo i moduli che contengono i tanti consensi raccolti tra lavoratori e cittadini. A muoverci è stata la convinzione che la partecipazione dei lavoratori alle scelte e ai profitti d’impresa è la più grande riforma che si possa dare al Paese per organizzare il lavoro in maniera dinamica e flessibile, per elevare salari e produttività, per arginare le delocalizzazioni e pirateria industriale, finanza speculativa, elevando la sicurezza nelle linee produttive e dando un impulso forte a ricerca, innovazione, formazione».
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