Precarietà dilagante
Sciopero giusto, salari da fame e l’80% del Pnrr alle imprese: sacrosanto protestare
Anche Cgil e Uil – non pervenuta la Cisl ma in fondo è normale – hanno deciso uno sciopero generale per il 16 dicembre. Sono mesi che la parte più conflittuale del sindacato confederale e i sindacati di base scioperano e manifestano contro il governo Draghi. Il 18 settembre c’è stata una gigantesca manifestazione a Firenze a sostegno della lotta della Gkn contro la delocalizzazione. L’11 ottobre lo sciopero generale di tutto il sindacalismo di base ha raccolto adesioni che sono andate ben oltre le dimensioni delle organizzazioni che lo hanno proclamato. Il 4 dicembre il No Draghi Day, sempre indetto dai sindacati a sinistra di quelli confederali, ha visto manifestazioni di massa in trenta città, che hanno surclassato quelle dei no vax, anche se sono state ignorate da un sistema mediatico interessato solo a queste ultime.
La realtà è che nel paese sta progressivamente montando una protesta sociale contro le conseguenze economiche della pandemia, che hanno aggravato tutte le ingiustizie sociali precedenti, e contro il governo dei migliori, che alla parte più povera e sfruttata del paese sta arrecando danni sempre peggiori. La protesta contro i vaccini finora ha utilmente, per il potere economico, coperto la protesta sociale, ma ora questa finalmente comincia a farsi sentire. A questo punto i gruppi dirigenti di Cgil e Uil hanno deciso di rientrare in gioco, dopo l’autoconfinamento in un limbo di riti subalterni verso il governo Draghi – basta ricordare i giudizi entusiasti al suo insediamento – che peraltro sono l’ultimo atto di anni di passività. Certo se fosse stato proclamato all’inizio dell’autunno, dopo lo sblocco dei licenziamenti, quando era già chiarissima l’impronta confindustriale del governo, questo sciopero sarebbe stato più forte ed efficace. Comunque meglio tardi che mai, ma ovviamente non basta.
Bisogna affermare con chiarezza, e non solo con le parole ma con i comportamenti, che questo è letteralmente, tecnicamente persino, il governo dei padroni, delle grandi imprese italiane e multinazionali, della finanza, dei vincoli dell’austerità europea. Certo la pandemia ha imposto, non solo in Italia ma nel mondo, l’abbandono del liberismo classico e l’uso di tutti i poteri dello stato per impedire tracolli del sistema. Ma questo non ha cambiato il riferimento economico e sociale del governo Draghi, che prima di tutto, in ogni sua decisione, è rivolto al mondo degli affari e delle imprese. Pare che il presidente del Consiglio si sia risentito per lo sciopero ed abbia esclamato: ma come stiamo facendo politiche espansive che ricadranno tutte sul mondo del lavoro! Ecco in questa affermazione sta tutto il vetero capitalismo di Draghi, fondato sulla convinzione che la crescita impetuosa del Pil e dei profitti privati, automaticamente producano ricchezza per tutti. Invece la ripresa economica sta producendo l’effetto esattamente opposto, una ulteriore concentrazione della ricchezza, l’aumento di sfruttamento, precarietà, povertà.
Draghi nei fatti sta proponendo uno sviluppo dell’Italia simile a quello degli anni Cinquanta del secolo scorso, magari riverniciato di verde, ma come allora privo, anzi nemico, dei diritti sociali. L’80% dei fondi del Pnrr finirà ad imprese private, mentre non un solo centesimo è speso per garantire davvero l’eguaglianza sociale. Così questo è consapevolmente il governo dei licenziamenti, del carovita, delle privatizzazioni, dei bassi salari, della negazione dei diritti del lavoro.
Qui sta la contraddizione di Cgil e Uil, che, mentre proclamavano lo sciopero, hanno sentito il bisogno di ringraziare il presidente del Consiglio per l’impegno profuso e si sono limitate a rammaricarsi dell’INSUFFICIENZA della manovra economica. Solo insufficiente una politica di economica nel paese con la peggiore dinamica salariale dell’Ocse, con le nuove assunzioni tutte a termine, con l’età pensionabile più alta d’Europa? Non ci siamo proprio. Se si vuole davvero incidere sulle politiche economiche, bisogna lottare contro lo sfruttamento, i SALARI DA FAME e la precarietà che dilagano. Bisogna dire basta al Jobsact e sì al salario minimo. Bisogna soprattutto rompere con la Confindustria, altrimenti lo scontro con il suo governo di fiducia rischia di essere una mossa tattica, che non cambierà nulla rispetto a tanti anni di moderatismo e complicità del sindacalismo confederale. Ciò che serve al paese oggi è una vera e duratura opposizione sociale, in grado di condizionare davvero il sistema politico e di scontrarsi con la sua comune deriva verso la destra imprenditoriale. E magari in grado non solo di dire no a Draghi come presidente del Consiglio, ma a maggior ragione come presidente della Repubblica.
© Riproduzione riservata