La caccia ai mandanti esterni per le stragi di mafia
Scomparsa Kata e le priorità della procura di Firenze: indagare il defunto Berlusconi ‘grazie’ al gelataio Baiardo
La Procura del capoluogo toscano, dopo ben cinque procedimenti chiusi già nella fase delle indagini preliminari, pare sia ad una “svolta” nella ormai pluridecennale caccia ai mandanti esterni per le stragi di mafia del 1993, ad iniziare proprio da quella fiorentina di via dei Georgofili. I procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli, per puntellare il quadro accusatorio che vede indagati Silvio Berlusconi, scomparso l’altra settimana, e Marcello Dell’Utri, hanno tirato fuori dal cilindro Salvatore Baiardo, il folcloristico gelataio di Omegna che in passato era stato condannato per aver favorito la latitanza dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, ex boss del quartiere Brancaccio di Palermo.
Baiardo sembra destinato a prendere il posto di Massimo Ciancimino, il finto pentito le cui dichiarazioni diedero il via al processo Trattativa Stato-mafia, poi conclusosi con l’assoluzione di tutti gli imputati. Il gelataio di Omegna, infatti, è quello che mancava nel quanto mai variegato panorama delle piste investigative seguite fino ad oggi, senza grandi risultati, dagli inquirenti fiorentini. Personaggio a dir poco “esuberante” e per i quali i Pm fiorentini avevano chiesto al gip, senza ottenerlo, l’arresto (l’udienza per il ricorso è prevista il prossimo 14 luglio, ndr) aveva fatto la sua comparsa nei mesi scorsi nei programmi di punta del giornalismo d’inchiesta: Report e Non è L’Arena.
Fra le “primizie” per i fedelissimi di Sigfrido Ranucci e Massimo Giletti, vi fu certamene quella di aver detto di aver visto le fotocopie della famosa agenda rossa su cui il magistrato Paolo Borsellino annotava i suoi appunti riservati in mano a diversi boss, da Graviano fino a Matteo Messina Denaro. Attraverso TikTok, il social cinese utilizzato per comunicare ai suoi numerosi follower, Baiardo aveva poi smentito quelle affermazioni dicendo chiaramente di aver voluto prendere in giro i segugi di Report.
Il meglio di sé, però, il gelataio di Omegna lo aveva dato con Giletti, mostrandogli da lontano, e per pochi secondi, una foto dove a suo dire ci sarebbe stati ritratti Silvio Berlusconi, Giuseppe Graviano e il generale dei carabinieri Francesco Delfino. I tre sarebbero stati immortalati sulle sponde del lago d’Orta, in Piemonte, prima del 1994, anno in cui Graviano è finito in carcere senza più uscire in quanto al sottoposto al regime del 41 bis con tutti i divieti possibili. Ed è proprio grazie a questa presunta foto, mai trovata con le perquisizioni disposte dalla Procura, che i magistrati fiorentini hanno potuto riaprire per la quinta volta l’inchiesta per dimostrare il contatto fra Graviano, il mafioso stragista, e Berlusconi, il mandante delle stragi. Il tutto sotto la supervisione del generale della Benemerita Delfino.
Dei tre in foto l’unico ancora in vita è Graviano. Berlusconi, prima di morire, ha sempre smentito tramite i suoi legali tale incontro lacustre. Delfino è morto già da diversi anni in una casa di riposo a Santa Marinella, paese sul litorale laziale. Degrado a soldato semplice al termine di procedimento disciplinare a seguito del coinvolgimento nel procedimento per il sequestro dell’imprenditore bresciano Giuseppe Soffiantini, ai suoi funerali non aveva partecipato nessun rappresentante dell’Arma.
Il procedimento sulle stragi del 1993 della Procura di Firenze ha raccolto alcuni dei teoremi della vecchia inchiesta “Sistemi criminali” condotta dagli ex Pm palermitani Antonio Ingroia e Roberto Scarpinato e archiviata nel 2000. In particolare, torna l’ipotesi di personaggi esterni alla mafia che avrebbero partecipato agli attentati, un “terzo livello” composto da potenti massoni, imprenditori, piduisti, e mafiosi assortiti che avrebbero dato l’avvio alle stragi per destabilizzare la vita democratica nel Paese.
Il teorema della Procura di Firenze stride, però, con le risultanze del processo Trattativa Stato-mafia, ormai conclusosi con sentenza definitiva. Secondo quest’ultimo procedimento, Dell’Utri sarebbe stato colui che ha veicolato la minaccia mafiosa al primo governo Berlusconi. Secondo la tesi dei Pm fiorentini che vogliono arrestare Baiardo per favoreggiamento, invece, l’ex presidente del Consiglio sarebbe arrivato al governo grazie alle stragi e all’appoggio di Cosa nostra. La domanda che bisognerebbe porsi è per quale motivo, allora, era necessario “minacciare” lo Stato se nel contempo venivano poste in essere le stragi.
La ricostruzione fiorentina ha, poi, un “paletto” temporale: durante le stragi del 1992-93, infatti, Berlusconi non aveva ancora fondato Forza Italia ed appoggiava i Pm di Mani pulite. Il sostegno al governo Berlusconi uno è emerso durante il processo Borsellino Ter. Sia Giovanni Brusca che Angelo Siino e Tullio Cannella, hanno parlato di un consistente sostegno di voti fornito da Cosa nostra a Forza Italia in occasione delle elezioni politiche del 1994. Sostegno offerto nella prospettiva di ottenere consistenti modifiche anche legislative nel senso auspicato dall’organizzazione mafiosa (cosa mai realizzata, tra l’altro). Nessuno dei tre mafiosi ha mai fatto comunque riferimento a contatti tra Cosa nostra e Berlusconi già nel 1992, nell’ambito della ricerca di nuovi referenti politici. Il teorema che vede Berlusconi e Dell’Utri come mandanti delle stragi ha tutta l’aria di essere un tarocco. Forse in procura a Firenze anziché di Berlusconi avrebbero fatto meglio ad occuparsi dello sgombero dell’ ex Astor e della piccola Kata…
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