Sembra già essere fallito il cosiddetto “accordo di Ankara, dove sotto la regia della Turchia, Etiopia e Somalia sembravano aver deciso di riprendere i rapporti diplomatici il 12 dicembre scorso. Alla vigilia di Natale, infatti, nella regione semi-autonoma del Jubaland l’esercito etiope si è scontrato con le truppe federali di Mogadiscio. I soldati etiopi pattugliano il confine fra Somalia ed Etiopia e nei mesi scorsi avevano preso il controllo di alcuni aeroporti per evitare che soldati egiziani venissero inviati a sostegno dell’esercito federale somalo nella sua lotta contro gli al Shaabab, il gruppo terroristico affiliato con al Qaeda che terrorizza il paese da anni.

Scontro Etiopia-Somalia: le due versioni

Le versioni ufficiali su cosa sia realmente accaduto però divergono sensibilmente. Il governo somalo sostiene che i soldati etiopi abbiano aggredito deliberatamente i militari dell’esercito federale in violazione di ogni tipo di convenzione internazionale, visto che erano lì per garantire la sicurezza sulla pista d’atterraggio. La stampa locale e alcuni politici della regione somala del Jubaland sostengono invece che quei soldati fossero lì per attaccare la delegazione politica dello stato federale che si trova in disaccordo con il governo di Mogadiscio.

Il Jubaland è ai ferri corti con il presidente Hassan Sheikh Mohamud ed il suo esecutivo e la voglia di una nuova deflagrazione che porterebbe all’ennesima nascita di uno Stato autoproclamato sembra crescere. I militari etiopi avrebbero difeso il governo locale a detta di molti politici ed amministratori del Jubaland, mentre secondo Mogadiscio questi soldati erano lì per garantire la sicurezza dei rappresentanti del popolo dell’Oltrejuba. Il portavoce del governo della Somalia ha dichiarato che quest’atto rimette in discussione tutto quello che era stato deciso in Turchia, facendo capire che si è trattato semplicemente dell’ennesima passerella per il “sultano” Erdoğan che ha investito moltissimo nel corno d’Africa, soprattutto in Somalia.

La situazione nel Corno d’Africa

L’accordo con l’Etiopia era utile alla Turchia anche per mettere in difficoltà l’Egitto che vuole appoggiare Mogadiscio nella sua lotta contro Addis Abeba e che resta, nonostante un riavvicinamento, uno storico avversario di Ankara. I problemi fra i due principali stati che compongono il turbolento corno d’Africa erano nati quando il premier Abiyi Ahmed aveva cercato un accordo con la Repubblica autoproclamasi indipendente del Somaliland, ex Somala britannica, che Mogadiscio continua a sostenere essere parte integrante del suo territorio nazionale.

L’Etiopia è alla ricerca di uno sbocco sul mare senza dover sottostare ai costi eccessivamente elevati della città stato di Gibuti. Il Somaliland, in cambio del riconoscimento internazionale, aveva offerto il porto di Berbera che Abeba aveva guardato con estremo interesse, ma che aveva scatenato proteste politiche e diplomatiche da parte della Somalia. Quest’ennesimo scontro fa capire quanto sia complessa la vicenda del corno d’Africa che va oltre gli accordi internazionali e che va compresa sul territorio, soprattutto quello somalo dove sono i clan a dominare e non un governo appoggiato dalla Turchia che amministra a malapena la capitale Mogadiscio.

Avatar photo

Matteo Giusti, giornalista professionista, africanista e scrittore, collabora con Limes, Domino, Panorama, Il Manifesto, Il Corriere del Ticino e la Rai. Ha maturato una grande conoscenza del continente africano che ha visitato ed analizzato molte volte, anche grazie a contatti con la popolazione locale. Ha pubblicato nel 2021 il libro L’Omicidio Attanasio, morte di una ambasciatore e nel 2022 La Loro Africa, le nuove potenze contro la vecchia Europa entrambi editi da Castelvecchi