Perché il tema della scuola, e più in generale della formazione, dovrebbero essere in cima a un programma politico di matrice riformista? Perché, anche se si è ormai consapevoli che l’impatto delle nuove tecnologie, in primis dell’intelligenza artificiale, sul nostro futuro sarà dirompente, forse non si sono avvertite fino in fondo appieno le ragioni della sua radicalità. Il digitale non riguarda un determinato mestiere, non definisce una figura professionale, non è circoscritto o circoscrivibile a un certo settore lavorativo, professionale o economico.

Ogni attività del prossimo futuro avrà come suo presupposto il digitale: ogni azione, ogni prodotto e gran parte delle nostre vite, private e lavorative, ne sarà condizionata. In altri termini, trasformerà la stragrande maggioranza dei processi di organizzazione sociale ed economica e costituirà la rete di relazioni e di intermediazione tra soggetti umani e non umani. Il modo in cui concepiremo gli oggetti attorno a noi, l’organizzazione sociale, la vita individuale e collettiva avverrà per mezzo del digitale. Stando alla base delle nostre attività, arricchendo e potenziando il nostro agire, il digitale non può essere concepito come un semplice strumento a nostra disposizione, ma come la condizione stessa della possibilità di realizzarle.

Esso va quindi inteso e interpretato come un sistema complesso, ovvero come un ecosistema che ingloba e intreccia qualsiasi settore: ogni professione opererà nel e attraverso il digitale. Ciò non cambierà necessariamente il prodotto, concepito astrattamente in sé, ma sicuramente la sua organizzazione, la rete di relazioni e tutti i processi a cui esso è legato in termini di produzione, servizi e consumo. Ogni realtà andrà concepita in termini di processi e relazioni. Il ritmo di sviluppo e di applicazione del digitale non è più lineare, bensì esponenziale. Per questo conoscenza e formazione dovranno accompagnare l’intero arco della nostra esistenza e non sarà più possibile slegarle dalle forme del nostro operare.

Proviamo a mettere a fuoco alcuni aspetti: in questo momento vi sono circa 5 miliardi di persone che vivono collegate alla rete e, ipotizzando che ognuna di queste possieda circa 6 dispositivi per collegarsi, ciò porterebbe a un totale di 30 miliardi il numero di device connessi. E, con ciò, stiamo solo indicando la punta dell’iceberg del cambiamento in atto, ossia il derivato di un sistema che genera e produce nuova conoscenza grazie allo scambio di informazioni a ciclo continuo e alla costante elaborazione di nuovi dati.

Nel quadro di questo scenario globale, se guardiamo agli altri Paesi europei non possiamo non constatare che siamo agli ultimi posti quanto a formazione. Non appena prendiamo atto della portata delle rivoluzioni tecnologiche che ci attendono, dovrebbe balzare agli occhi l’urgenza che la formazione avrà nel prossimo futuro, anche perché le trasformazioni cui stiamo assistendo rappresentano una grande opportunità. I soggetti economicamente più svantaggiati potrebbero infatti trovare maggiori opportunità di riscatto sociale a partire da processi dal basso, sia per la loro formazione sia dal punto di vista professionale.

Così come è indubbio che restare indietro, e non al passo, in termini di progresso e incremento di educazione finirà per relegarci ai margini dei processi decisionali globali rendendoci sempre più subalterni, ossia in forte dipendenza dagli altri attori, sempre meno capaci di contrastare un progressivo incremento di sacche di povertà. Per offrire opportunità alle nuove generazioni – sarà questo il presupposto per ogni possibilità di affermazione sociale su larga scala – è necessario promuovere un massiccio investimento nella scuola pubblica, a partire da una riforma profonda e adeguata ai tempi, e che però non sottovaluti l’importanza delle discipline umanistiche, necessarie ad aprire la mente degli studenti e a educarli al pensiero critico.

Una riforma che deve prevedere, tra le altre cose, la possibilità di ibridare le classi, ampliare i supporti e i contenuti multimediali, consentire la connessione tra le aule, creare biblioteche virtuali, utilizzare strumenti interattivi, attuare anche la formazione a distanza e la completa digitalizzazione dei registri di classe. Quest’ultimo aspetto comporta 400mila classi, 60mila studenti e 8029 istituzioni scolastiche da collegare in modo da sviluppare nuove forme di conoscenza collettiva.

Attualmente i dati dei registri elettronici non garantiscono condivisione e, non essendo integrati tra loro, non consentono un’autentica connessione orizzontale. L’attuale registro di classe non sempre contiene le informazioni relative alle centinaia di milioni di ore che gli studenti compiono in attività extrascolastiche, né l’impiego di tempo finalizzato al raggiungimento degli obiettivi definiti “competenze chiave” dalla Commissione europea. L’analisi parziale e non condivisa del curriculum degli studenti rallenta enormemente lo sviluppo di piani personalizzati basati sulle specifiche inclinazioni e abilità di ogni singolo studente.

Dovendo far fronte all’attuale grado di complessità la scuola dell’obbligo non è più sufficiente: di fatto, la laurea attuale dev’essere paragonata ai diplomi del passato. A che punto ci troviamo? All’inizio del Covid un italiano su quattro non aveva mai utilizzato il web. L’Italia è per numero di laureati al penultimo posto dopo la Romania (che tuttavia ci batte per laureati in ICT). Rispetto alle economie avanzate, annoveriamo il doppio dei giovani che non studia e non lavora. Abbiamo un tasso di abbandono scolastico che è il più alto d’Europa, oltre a un numero ancora troppo elevato di diplomati che non pensano di iscriversi a un corso di laurea.

Se l’investimento pubblico nella scuola dell’obbligo è fondamentale, è altrettanto essenziale che le Università pubbliche ricevano maggiori risorse (siamo sempre ultimi in Europa anche in questo capitolo di spesa) e che si arrivi all’erogazione di offerte formative di qualità – compito della politica sarà monitorarne gli standard – anche attraverso lo sviluppo di università private e telematiche, in modo da colmare il più velocemente possibile il nostro ritardo rispetto agli altri Paesi. Nell’era del digitale il fattore tempo è decisivo, perché il vantaggio di arrivare tra i primi è, ancora una volta, esponenziale: arrivare tardi significa di fatto restare tagliati fuori dalle opportunità di impresa e di sviluppo dei nuovi territori ibridi – fisici e virtuali – composti da quei 5 miliardi di individui che virtualmente li attraversano. O ci prepariamo a concepire la scuola e la formazione continua non come un costo, ma come un’infrastruttura del Paese, oppure, il nostro destino è già scritto.

Edoardo Greblo, Luca Taddio

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