Domani c'è scuola
Scuola, il registro elettronico non è obbligatorio: piena libertà di metodo per gli insegnanti

In molti istituti i dirigenti scolastici hanno imposto ai docenti l’utilizzo del registro elettronico in sostituzione di quello cartaceo. La motivazione più accreditata è l’estensione della digitalizzazione come modo di svolgere operazioni d’ufficio, pratiche, annotazioni. Una deriva che ha assunto toni e modalità attuative persino parossistiche, applicando un principio generale a fattispecie sulle quali occorrerebbe esercitare il prioritario uso del pensiero critico e del buon senso. La manualità non si riduce alla sola digitazione: premere un tasto non potrà mai sostituire scrivere una parola.
Le contestazioni al registro elettronico riguardano in prevalenza la sua effettiva utilità, il tempo necessario per compilarlo, il suo essere strumento di annotazione e certificazione consultabile. Un ispettore scolastico in visita a una classe avrebbe difficoltà, ad esempio, ad accedere ai dati: dovrebbe poter disporre “ictu oculi”, cioè “de visu”, di tutti gli elementi di valutazione. L’archiviazione digitale dei dati richiede username e password che la rendono criptica, differibile e persino potenzialmente alterabile. Questo è un aspetto riduttivo di una malintesa autonomia scolastica, perché gli atti di istituto devono essere consultabili: la qualità del servizio scolastico viene verificata attraverso il controllo tecnico, per le vie amministrative, ma il registro di classe è un documento pubblico che afferisce a un pubblico servizio.
Su questo la giurisprudenza è pacifica. Esiste, peraltro, un modello cartaceo di registro di classe validato dal Ministero e distribuito a tutti gli istituti scolastici della Repubblica. Mandarlo al macero in attesa che venga ufficialmente sostituito da quello digitale sembra francamente uno spreco di denaro pubblico. Vero è che il D.L. n. 95 del 2012, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 135, aveva introdotto l’obbligo per le scuole di dotarsi di registro elettronico a decorrere dall’anno scolastico 2012-2013, prevedendo che il Miur predisponesse – entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto – un piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie. Questo piano tuttavia non è mai stato predisposto, vanificando la norma e rendendo non obbligatorio l’utilizzo di registro e pagelle elettroniche. Come puntualizza in modo inequivocabile la sentenza della Cassazione Sez. V, Sent., (ud. 02-07-2019) 21-11-2019, n. 47241 ed è noto che le sentenze di Cassazione fanno giurisprudenza fino a diversa legislazione. Si aggiungano le due sentenze del Giudice del Lavoro del Tribunale di Catania dell’8/9/2020, secondo cui le disposizioni del citato D.L 95/2012 sul registro elettronico assumevano una valenza meramente programmatica, non essendoci stata una successiva regolamentazione attuativa. Infine il presidente della stessa Sezione Lavoro del Tribunale di Catania in data 2/12/2020 annullava la sanzione disciplinare inflitta da una dirigente scolastica ad alcune insegnanti che si erano rifiutate di utilizzare il registro elettronico.
Naturalmente un ordine di servizio del dirigente scolastico va eseguito, fatta salva impugnazione successiva: ci si chiede se sia proprio inevitabile arrivare a questo scontro. Il registro è uno strumento di lavoro dei docenti e molti di loro ravvisano l’inutilità di adoperare quello elettronico; la ragione più sostenuta è la perdita di tempo che comporta, sottraendolo alle attività didattiche in classe. L’aspetto formale prevarrebbe su quello sostanziale e pratico: se lo affermano gli insegnanti significa che lo hanno riscontrato. Sic stantibus rebus, dunque, il tipo di registro da usare deve rispondere ai criteri di utilità, praticità, certezza delle modalità di compilazione e resta uno strumento d’uso del docente che rientra nel più ampio contenitore della libertà d’insegnamento. Che è indefettibilmente, per letteratura e per giurisprudenza, libertà di metodo.
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