Il ministro Valditara presenta le indicazioni nazionali per il primo ciclo del nostro ordinamento scolastico e subito si scatena la canea degli oppositori che le additano come il “manuale dello studente sovranista”. Si tratta in genere di giudizi severi, espressi sulla carta da persone che non mettono piede in una scuola da quando la frequentavano come studenti; ne conservano forse un cattivo ricordo e giudicano in modo ideologicamente preconcetto il testo licenziato dalla Commissione ministeriale, includendo ad esempio la scuola dell’infanzia (che ha i “suoi” orientamenti educativi) nel primo ciclo di istruzione.

La destrutturazione

È necessario interpretare alcune motivazioni pedagogiche che hanno sollecitato i nuovi indirizzi didattici nazionali, da considerare nel merito in una successiva riflessione. Negli ultimi decenni c’è stata una destrutturazione delle materie e delle discipline scolastiche a favore di un generalismo ibrido: ne è prova l’accorpamento di insegnamenti classici – come la storia e la geografia – nella cosiddetta “geo-storia”, un miscuglio di idee sovrapposte e depauperate da solide conoscenze. Così come l’espunzione delle poesie mandate a memoria, delle tabelline (sostituite da calcolatrici e pc), della scrittura manuale, della musica e dell’arte ridotte a corollari sperimentali. Ora i temi si fanno usando ChatGPT, lo stesso dicasi per risolvere equazioni o problemi matematici: questo per esser certi che l’uso degli algoritmi dell’IA dia garanzie di buon esito, salvo il fatto che questi esercizi non comportano la partecipazione personale dell’allievo, non favoriscono il pensiero critico e non stimolano alcun ragionamento. L’originalità e l’autenticità della riflessione e dell’interpretazione dell’elaborato ne sono inevitabilmente compromesse.

Chi ha trascorso una vita nella scuola può affermare di aver assistito al lungo disancoraggio dalla cultura tramandata, sostituita da qualche tempo da neologismi, anglicismi, acronimi che hanno svilito le tradizioni pedagogiche su cui si fondava l’impianto formativo, ad ogni livello: in primis proprio a partire dal primo ciclo e da quella straordinaria intuizione (il primo ascensore sociale) che era il “saper leggere, scrivere e far di conto”. Il clima percepito negli istituti scolastici non assomiglia da tempo a un cenacolo di relazioni umane, di formazione solida, di rispetto verso l’autorevolezza dei docenti; la stessa libertà di insegnamento è messa a dura prova da prescrizioni cogenti che neppure il ministero si è mai preso la briga di dare.

Ritorno verso libri, penne e quaderni

Valditara si è accorto di due derive in atto che vanno riprese, analizzate, corrette. Già nel Convegno della Fondazione Einaudi del 18 luglio 2023 preconizzava la cultura dell’et et anziché dell’aut aut: “La rete non può né deve spazzare via la carta e la penna perché lettura su carta e scrittura a mano sono insostituibili. L’apprendimento attraverso i libri non è rimuovibile dal sistema dell’istruzione”. Va ricordato che in Svezia e in Finlandia (dove il tablet aveva sostituito il corsivo e la letto-scrittura) c’è stato un precipitoso ritorno verso libri, penne e quaderni. L’Ocse è severa nel valutare l’uso smodato delle tecnologie nei percorsi formativi; si stima che uno studente della scuola secondaria padroneggi il significato di non più di 200 parole, e c’è chi giunge alla Maturità senza aver mai letto un libro per intero: divenuto adulto, farà parte di quel 70% che non comprende un testo di media difficoltà, ciò che posiziona l’Italia al quart’ultimo posto tra i Paesi industrializzati quanto a competenze cognitive. Svolgere un tema usando ChatGPT non è una prodezza ma un inganno verso sé stessi, un bluff: per questo il ministro parla di letture, libri, poesie, esercizio della memoria, studio. Non teme tanto l’avanzamento dell’Intelligenza Artificiale, quanto l’arretramento di quella naturale.

La seconda deriva riguarda la necessità di un riequilibrio tra indirizzi programmatici nazionali (la libertà di insegnamento è libertà di metodo, non di fine) e le scelte assunte in sede di autonomia scolastica. Soprattutto in un contesto in cui si parla di “qualità” in modo autoreferenziale, senza prevedere alcuna modalità di controllo tecnico ed “esperto”. C’è chi ha toccato con mano aberrazioni didattiche ed educative perpetrate in nome dell’autonomia e del decentramento decisionale, di gran lunga peggiori delle anguste applicazioni delle più ottuse circolari ministeriali. Anche a scuola bisogna ritrovare una giusta via di mezzo e ridare spazio alla creatività, all’ingegno, alla riflessione. Ben vengano arte, musica, letteratura, temi, riassunti e poesie che le prassi più recenti hanno conculcato a cenerentole didattiche per far spazio a neologismi e algoritmi: la scuola deve educare alla conoscenza, in modo consapevole e gratificante.

Eppure alcuni si scandalizzano se un ministro chiede di poter fare il ministro, integrando e coordinando a livello scolastico del sistema-Paese le elaborazioni che l’autonomia ha reso spesso troppo differenziate. Non ci sono attacchi alla democrazia né sovranismo pedagogico, ma appelli al buonsenso e alle radici della nostra tradizione culturale. Il che non è certo un peccato di cui scusarsi.