A cosa tiene il Partito Democratico? La domanda è stata al centro di un’ampia conversazione con Irene Manzi, responsabile nazionale scuola del partito di Elly Schlein. È la seconda “puntata” di un approfondimento del Riformista sulla visione della scuola tra i partiti italiani (la settimana scorsa è toccato a Valentina Aprea di Forza Italia). Manzi per l’occasione ha preparato una sorta di lista delle “parole chiave”: equità, inclusività, partecipazione, autonomia. Cominciamo dalla prima.
Cosa non è equo nella scuola?
«Ancora troppe cose. A cominciare dalla fascia 0-6 anni. Dobbiamo progressivamente lavorare per garantire un accesso e una presenza omogenea degli asili nido su tutto il territorio, ma dobbiamo anche guardare lontano verso un progressivo e pieno accesso gratuito al servizio».
E per i più grandi?
«Per i più grandi equità significa, ad esempio, lotta alla povertà educativa che spesso, purtroppo, è ancora condizionata dalle possibilità, economiche e non solo, delle famiglie di appartenenza. Pensiamo che sia decisivo dare una svolta ai Patti educativi di comunità. Sono accordi di collaborazione territoriale tra scuola, istituzioni e realtà del terzo settore con lo scopo di arricchire e rafforzare l’offerta educativa. Questi strumenti così importanti spesso godono di finanziamenti temporanei, mentre invece devono avere accesso a risorse certe e stabili nel tempo».
Tendenzialmente il Governo si occupa di altro. O almeno di altro si sente parlare: inasprimento sul voto in condotta, giudizio sintetico alle elementari, divieto dello smartphone, ritorno del diario, etc.
«Sono provvedimenti mediatici, peraltro furbi perché messi in atto a costo zero. Ma soprattutto, a parte questa logica populistica nell’assecondare certi umori, mancano le ragioni. Per esempio, sul ritorno al giudizio sintetico alla scuola primaria, si è agito senza prima aver verificato come ha funzionato il sistema introdotto nel 2020, non a caso subito dopo l’esperienza del Covid vissuta dalla scuola. Si è agito in modo puramente ideologico».
Lei la vede la cosiddetta “deriva autoritaria” nei provvedimenti di Valditara?
«Vedo un’insensata ansia di ritorno al passato, a un mondo che non esiste più. L’idea che attraverso la sanzione si possano risolvere i problemi denota una scarsa conoscenza della concreta esperienza di scuola, ma anche una certa ostilità verso l’autonomia scolastica (ecco un’altra parola chiave). In questi provvedimenti dall’alto traspare un dirigismo che peraltro stride con le evoluzioni della scuola negli ultimi decenni. Loro addebitano tutto al ’68, come se quell’esperienza avesse rovinato la scuola, ma è una visione puramente macchiettistica e sbagliata. La stagione degli anni ’60 e ’70 è stata certamente una stagione emancipatrice e con una forte spinta di partecipazione dal basso».
A proposito, citava la partecipazione…
«Esatto. E ci tengo a precisare che la partecipazione è anche molto più della rappresentanza. Gli organismi collegiali devono essere vissuti come un concreto spazio di azione e discussione. Purtroppo la partecipazione è in crisi nella società e quindi è importante rafforzarla. Assieme alla senatrice Simona Malpezzi, per esempio, abbiamo posto il tema dell’aumento della partecipazione studentesca negli organismi collegiali, grazie ad un positivo lavoro di costruzione dal basso promosso dai Giovani Democratici».
Il Ministro ha messo mano anche alle Indicazioni nazionali, i cosiddetti programmi…
«Ecco, questo è un perfetto esempio di ciò che si diceva prima. La domanda di fondo è: era necessario? Le attuali Indicazioni, peraltro, sono ispirate a una visione universalistica della conoscenza; mentre ora, nell’intento ministeriale, sembrerebbe prevalere esclusivamente un’ossessione per l’identità nazionale. Le Indicazioni si possono aggiornare e migliorare in un ascolto proficuo con il mondo della scuola, ma è questo il compito affidato alla nuova Commissione per le Indicazioni? O si vuole semplicemente cancellare tutto il pregresso?».
Vale lo stesso per le Linee Guida per l’Educazione Civica?
«Appunto. Era necessario cambiare tutto, dopo appena tre anni? E per giunta in modo peggiorativo? Vedo la volontà di curvare l’insegnamento su un modello neoliberista ed individualista, con poca attenzione invece al concetto di responsabilità sociale che permea la Costituzione. È molto grave, inoltre, il mancato riferimento all’educazione contro la discriminazione e la violenza di genere».
Ma cosa accade in Parlamento su questi temi? Si dialoga con le forze di maggioranza?
«Non molto. In passato la Commissione Cultura ha rappresentato un luogo di dialogo e mediazione tra maggioranza e opposizione, purtroppo non in questa legislatura. Temo sia colpa di un eccessivo appiattimento sulle ragioni del Governo».
Proprio tutti uguali?
«Beh, con Forza Italia qualche punto di incontro ci potrebbe essere. Sullo Ius Scholae, per esempio…».
A proposito, è davvero un’urgenza?
«È più che un’urgenza, è un dato di fatto: il 67% degli studenti stranieri è nato in Italia. La realtà, come sempre, è più avanti del legislatore. E poi me lo faccia dire con semplicità: perché non migliorare concretamente la vita quotidiana di chi nasce e studia in Italia?».
Siamo tornati alla parola iniziale: equità.