In un mondo sempre più complesso tutti abbiamo bisogno di certezze”: lo dice solennemente Claire Foy vestendo i panni di una giovane Regina Elisabetta II, nella serie The Crown che ha spopolato in questi mesi. Dalla fiction al reale, nulla è più vero in un anno dove l’incertezza regna sovrana e la complessità è diventata cifra di ogni decisione, anche la più minuta, come incontrare i propri genitori o prendere la metropolitana.

Fa pensare questa frase, a dodici mesi dalla fine del settennato del Presidente Mattarella, un battito di ciglia per una carica pensata come apice di uno Stato. E neppure il regale richiamo è casuale, perché la Presidenza della Repubblica Italiana -congegnata dai padri costituenti- voleva in fondo essere surrogato della monarchia volutamente perduta nel referendum, consapevoli tuttavia che da qualche parte si sarebbe dovuto prevedere una figura altrettanto capace di porre fine a un ventennio di regime autoritario, dove l’autorità prevalesse sul potere, a cui affidare prestigio, cerimoniale, esercito, magistratura, l’investitura dei governi, poter sciogliere il Parlamento e riempire alla bisogna i vuoti politici. Come molto della nostra eccezionale Costituzione, anche il ruolo del Presidente della Repubblica è rimasto a lungo sotto le braci della storia.

Fino agli anni ’90 non vi è stato mai il bisogno, o piuttosto l’opportunità, di attivare a fondo i poteri della massima carica dello Stato; poi la frantumazione del sistema partitico ha rivelato il potere riposto dalla Carta Costituzionale nel Palazzo del Quirinale. Ed ecco Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella, trovatisi nella possibilità, a volte nella necessità, di fare scelte profondamente, a volte drammaticamente, politiche, giocando in un ruolo a dir poco inedito. Oltre a questo discrimine non secondario, gli inquilini del Quirinale in tre quarti di secolo hanno avuto singolari temperamenti e problemi peculiari, ma un minimo comun denominatore: una radicata “carica” politica, seppur, per così dire, a basso voltaggio. Difficilmente leader dei loro partiti, ma per questo giunti all’età consona per il settennato meno usurati di altri dalla ferocia dell’agone politico, sono stati tutti nondimeno uomini che avevano nella politica una vocazione e una professione inequivocabile.

Tutti, tranne uno: Carlo Azeglio Ciampi, primo capo dello Stato non parlamentare nella storia della Repubblica. Non il primo Governatore della Banca d’Italia a varcare la porta del Quirinale –prima di lui vi era stato Luigi Einaudi. Ma il primo a non aver mai frequentato Parlamento e partiti. Impossibile non correre col pensiero di questi tempi a Mario Draghi, successore di Ciampi in Banca d’Italia, dopo Fazio, uomo di istituzioni europee, estraneo ai partiti italiani, nella vecchia quanto nella edizione post-modernista lasciata dallo sfascio delle ideologie.

Draghi pensa al Quirinale e forse anche il Quirinale pensa a lui. Ma non si può dimenticare che il Governatore Ciampi prima di diventare “il Presidente Ciampi” dovette passare le forche caudine del battesimo politico: si assunse la responsabilità storica di Presidente del Consiglio dei ministri tra il 1993 e il 1994 e, più tardi, ancora come Ministro del Bilancio, per l’esattezza il Ministro del Bilancio dell’entrata dell’Italia nell’Euro. Per arrivare al Colle la strada è insomma, come l’espressione suggerisce, in salita mettendoci la faccia nella politica e la propria competenza nel risolvere i problemi del Paese.

Ed è una salita che porta il peso – e la prova- della responsabilità politica, quella che non superò un altro tecnico di respiro europeo, il Professor Mario Monti, in un Governo iniziato con belle speranze ma finì nel grigiore di chi non sa agguantare il futuro del Paese. La lezione della storia sembra chiara: i cancelli della carica più aulica dello Stato si aprono solo a coloro che in qualche modo già li hanno attraversati, magari per prestare giuramento, dando prova del proprio valore. Se ciò fosse vero, per Mario Draghi è necessario, ancorché non sufficiente, che la salita più importante della sua vita inizi adesso, sennò al Quirinale non ci andrà.

*Deputato di Forza Italia

Luca Squeri*

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