L’esperienza vissuta durante la prima ondata dell’epidemia non ha purtroppo insegnato abbastanza: da qualche settimana, infatti, la Giustizia penale sta barcollando sotto il peso dell’aumentare dei contagi, agevolati dalle modalità di lavoro in presenza, riprese come se nulla fosse stato da fine giugno a oggi. Le misure da ultimo prese, in stretta successione tra loro, nel Decreto Ristori e nel Decreto Ristori Bis, sono in parte inattuabili sul breve periodo, e in parte lesive del diritto di difesa in modo grave e sproporzionato. Non è uno scenario rassicurante, soprattutto in considerazione del fatto che la situazione epidemiologica non sembra destinata a risolversi in tempi brevi. Ci vuole un cambio di passo, rispetto al quale non è ancora troppo tardi. Vediamo come.

All’inizio di marzo – quando era già deflagrata l’epidemia all’interno dei Tribunali – il Governo ha disposto una radicale sospensione delle attività processuali e dei termini: con il passare delle settimane, quando si era compreso diffusamente che la pandemia era un fenomeno oramai patologico e di non breve durata, il Legislatore ha provato a contemperare l’esigenza di riprendere le attività giudiziarie con la necessità di individuare forme di prevenzione e precauzione sanitaria per i protagonisti del processo. La soluzione è stata l’introduzione di forme di telematizzazione di molti atti del procedimento penale: troppi, in prima battuta, per la struttura del processo, la nostra cultura e lo stato di grave inadeguatezza dell’infrastruttura digitale.

Le critiche mosse a questa aggressiva forma di telematizzazione – rimasta comunque sulla carta perché, anche volendo, non c’erano i mezzi (economici e tecnici) per attuarla – hanno portato a un ridimensionamento ragionevole delle attività processuali effettuabili da remoto. Purtroppo, quando a fine giugno la situazione sanitaria ha cominciato a regredire allo stato di una apparente normalità, il Legislatore ha di colpo abbandonato ogni forma di telematizzazione, riportando tutte le attività in presenza, come se nulla fosse stato, a partire dal 1° luglio: e così sono rimaste sino alla fine di ottobre, quando il Decreto Ristori ha reintrodotto delle forme di telematizzazione del procedimento penale, a oggi però ancora inattuate. Questo perché, nei mesi scorsi, si è perso tempo prezioso, dunque gli strumenti tecnici necessari per dare vita a un processo penale telematico non sono minimamente pronti. Potremmo definirla la “sindrome della cicala”, da cui sta derivando un discreto caos, in cui i processi vengono in parte rinviati, e in parte celebrati in condizioni di grave insicurezza sanitaria.

Non è purtroppo tutto: invece di investire su forme di telematizzazione nei processi di appello e Cassazione, il Legislatore, con i Decreti Ristori e Ristori Bis, ha pensato di risolvere la questione eliminando in radice – fino al prossimo 31 gennaio – ogni dialettica orale (da remoto o in presenza) grazie all’introduzione di un rito “cartolare”, dove il contributo delle parti alla decisione può essere solo di natura scritta. Nel contempo c’è grande incertezza e confusione sulle misure attuative dei depositi telematici, ovvero una novità per il nostro processo penale, la cui introduzione avviene in una fase acuta dell’epidemia, dove gli studi legali, per i vari Dpcm, dovrebbero incentivare lo smart working di collaboratori e dipendenti, e con molti cancellieri contagiati: dunque non è certo il momento migliore per dare esecuzione a una rivoluzione copernicana, alla quale, per essere pronti, dobbiamo dedicare tempo e risorse.

Per poter partire in modo serio e concreto con una stabilizzazione delle attività effettuabili da remoto, bisognerebbe fermare la celebrazione di quelle ordinarie (o meglio, di quelle poche che si riescono a fare, causa il gran numero di contagi) per almeno qualche settimana: così, peraltro, si potrebbe decongestionare la difficile situazione sanitaria, diminuendo i rischi di trasmissione del virus nei tribunali. Questo non vuole dire però stare fermi; bisogna lavorare alacremente per essere pronti a partire senza ulteriori stop, a prescindere dall’evoluzione dello scenario epidemiologico.

In questo scenario, una delle conseguenze più evidenti è l’accumularsi di cause, soprattutto per reati di competenza del tribunale monocratico, dove i numeri delle cause che ingolfano i ruoli sono davvero inquietanti anche quando non c’è un’emergenza: un arretrato che, quando vedremo finalmente la fine dell’epidemia, rischia di essere ingestibile, creando preoccupanti vuoti di tutela rispetto a fatti di particolare gravità criminale e allarme sociale, perché impegneranno moltissime risorse giudiziarie. Noi crediamo che la soluzione di queste gravi problematiche non possa essere il drastico ridimensionamento del diritto di difesa – come sta accadendo in particolare per il giudizio di appello e di Cassazione – ma debba passare attraverso scelte coraggiose, sistematiche e lungimiranti, che sappiano perciò sfruttare davvero le opportunità offerte dalle nuove tecnologie per offrire maggiore – e più rapida – tutela ai diritti, individuali e collettivi, tutelati dalla Costituzione.