Caro Riformista, il rapporto del Centro Studi Tagliacarne e di Unioncamere che hai recentemente analizzato conferma l’acuirsi del divario Nord-Sud dopo la pandemia. Tema molto caro alla Cisl che da tempo sta dibattendo sulle possibilità di una ripresa del Mezzogiorno, ma solo ad alcune condizioni. Una di queste occasioni è proprio il Pnrr. La priorità assoluta per spendere bene le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza è quella di decodificare in tempi brevissimi le debolezze e le fragilità del territorio a partire dal gap infrastrutturale e digitale, ormai palla al piede per qualsiasi progetto innovativo legato alle transizioni richieste dall’Europa. In caso contrario sarebbe come costruire una cattedrale con le fondamenta di una capanna. Nell’era post-Covid il Sud può essere la bussola per sperimentare anche nuove forme di partecipazione e di coesione sociale ed economica.

La crisi economica, produttiva e sociale che ha investito il Sud non ha fatto altro che acuire latenti situazioni di criticità e far emergere nodi irrisolti che affondano le radici in tempi lontani. Per coglierne la piena portata e individuare possibili soluzioni, dunque, occorre fare un tuffo nella storia, interrogarsi sul perché di problemi mai risolti per l’incapacità o per la deliberata scelta di coloro che nei decenni hanno preferito depredare questi territori, provando a svuotarli della loro stessa anima, anziché impegnarsi per costruire un futuro di sviluppo. Il perdurare di tale situazione rischia di compromettere anche il migliore utilizzo delle ingenti risorse comunitarie destinate al Sud correndo il rischio che gli interventi ipotizzati non riusciranno a contemperarsi con le reali condizioni di partenza in cui versano le nostre terre. Elevati tassi di disoccupazione e livelli occupazionali tra i più bassi d’Europa; condizioni di povertà assoluta e relativa che interessano larghe fasce di popolazione; assenza di politiche attive adeguate; bisogno di competenze per innalzare la qualità e competere sui mercati interni ed esteri; infrastrutture divenute molte volte obsolescenti; imprese con importanti deficit innovativi; politiche sociali che necessitano di un’importante revisione, così come la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi alla cittadinanza. Il tutto nel rispetto dei principi costituzionali dell’universalità, dell’assistenza e della tutela dei diritti alla salute e all’istruzione.

Perché ciò sia possibile, però, occorre partire dalla consapevolezza della disomogeneità delle singole situazioni territoriali, indispensabile per colmare il gap tra le diverse aree del Paese. Sarebbe utile prendere le mosse dalle tante eccellenze espresse dalla Campania e dal Sud, per sviluppare know-how e sperimentare nuove forme di partecipazione tra i vari stakeholder finalizzate a soddisfare l’urgente bisogno di lavoro, rilanciare modelli competitivi, contenere il ricorso agli ammortizzatori sociali e ad altre misure assistenziali in quanto surrogato della mancanza di un progetto organico di crescita. Il confronto istituzionale deve cogliere le buone intenzioni nelle dichiarazioni della ministra Mara Carfagna a cominciare dalla stima dei Lep e dalla lettura dei bisogni dei cittadini meridionali. Bisogna mirare a rendere strutturale una rete di intelligenze e di competenze che vogliono mettersi al servizio della collettività.