Quando siamo usciti finalmente da casa, dopo il periodo di segregazione forzata per il Coronavirus, eravamo tutti esausti. Però, almeno generalmente, eravamo anche consapevoli di aver superato una prova necessaria. Era stata dura, ma il peggio era passato. I reparti di terapia intensiva erano ancora pieni, ma non più al collasso. Avremmo avuto, come infatti è stato, ancora nuovi decessi, ma di pazienti intubati durante il lockdown che non ce l’avrebbero fatta a superare la crisi, o altri che sembravano essersi ripresi, ma poi avevano avuto una ricaduta fatale. Tuttavia i casi di ricovero urgente si erano drasticamente ridotti e gli ospedali avrebbero ricominciato a respirare. Quindi il peggio era passato. Assolutamente vero, ma… in Italia.

Se una cosa buona ci ha insegnato la globalizzazione è che i destini dei popoli sono ormai legati. Mentre in Italia uscivamo a goderci l’ultimo sole di primavera, in molti altri paesi l’incendio cominciava a divampare. Sarebbero stati tutti quanti altrettanto virtuosi? Il Brasile delle favelas, gli Stati Uniti dei ghetti per gli emarginati, l’India dei Paria avrebbero saputo far rispettare le norme di profilassi per prevenire il disastro? Purtroppo abbiamo visto di no. In Brasile le misure di contenimento della diffusione sono state blande e si sono raggiunti quasi quattro milioni di contagi censiti (con gravi rischi di sopravvivenza delle tribù amazzoniche completamente abbandonate).  Negli Stati Uniti, dopo il picco iniziale, ormai destinato ad esaurirsi, le manifestazioni per l’omicidio di George Floyd hanno creato quegli assembramenti che sono il primo veicolo di diffusione del virus. Ed ecco la seconda fiammata epidemica, tuttora in corso. Le incombenti elezioni presidenziali distolgono in parte l’attenzione dai dati sanitari, ma negli ultimi 5 mesi il Covid ha mietuto il triplo delle vittime americane in Vietnam, in 20 anni di guerra.

Dell’India è quasi inutile tentare di fare un bilancio adesso. Nonostante i tre milioni e mezzo di malati -secondo le stime ufficiali-, lì siamo ancora all’inizio, in fase ascendente. Si rischia davvero la catastrofe umanitaria. Questo per quanto riguarda la top three dei paesi più contaminati dal Coronavirus. Ma siccome molti altri hanno sviluppato il contagio dopo di noi, che siamo stati i primi a subire gli effetti della pandemia, l’Italia si trova adesso circondata da paesi dove l’infezione è tuttora diffusa, o si sta cominciando a diffondere, o ha ripreso la diffusione. La Croazia, meta di vacanze balneari, è in rapidissima crescita. La Spagna, ma in misura minore anche la Gran Bretagna e la Germania, dopo una prima reazione vigorosa alla propagazione del contagio, hanno allentato prematuramente la sorveglianza e sono ora investite da una seconda ondata. Era fatale che le vacanze di agosto dei ragazzi partiti per l’estero avrebbero riportato in Italia il virus che, a prezzo di tante rinunce e sacrifici, avevamo debellato. Gli adulti sono stati meno propensi a viaggiare, o perché più coscienziosi, o perché più spaventati dalle conseguenze di un’infezione. E il risultato è che l’età media dei contagiati oggi è la metà di quella dei mesi di aprile e maggio: trent’anni contro sessanta.

La voglia di evasione e di divertimento dei soggetti rientrati dalle vacanze ha fatto il resto. Per esorcizzare la paura del virus, come si usava in certe liturgie pagane, in tanti si sono abbandonati all’ebrezza di danze frenetiche. Distanza sociale? Meglio il tuca tuca. Mascherina? Mica voglio morire asfissiato. L’emissione delle goccioline fisiologiche aumenta sotto sforzo e quando si tenta di parlare sovrastando la musica assordante? Il contatto umano è un valore positivo… Così la Sardegna, da isola felice quasi incontaminata dal virus fino a qualche settimana fa, si trasforma in terra di untori. Untori che, peraltro, si trovano in Sardegna per godersi l’incanto della costa e i piaceri della dolce vita, ma sardi non sono. E allora a che punto siamo in Italia? Un grafico è più eloquente di mille parole. È il grafico dei nuovi contagi giornalieri. Poco più di un migliaio al giorno, segni premonitori di una possibile seconda ondata. Per ora è solo una tendenza, ma guai se non venisse arrestata al più presto questa progressione.

Il grafico si legge così: il primo lobo, a sinistra, quello compreso tra febbraio e maggio, corrisponde alla prima ondata. Compare a febbraio, si impenna a marzo, fino ad un massimo di 6500 contagi al giorno e poi faticosamente viene imbrigliato, scendendo a giugno/luglio a poche centinaia di casi al giorno. Dopo un periodo di quiescenza, ad agosto lo spettro dell’epidemia ricomincia ad aleggiare e i contagi giornalieri risalgono, fino ai circa 1500 attuali. Ad occhio si vede che questo accenno di secondo lobo è meno ripido, perché i nuovi focolai che si sono sviluppati sono stati tempestivamente circoscritti. Il virus non ha potuto circolare impunemente come accadde all’inizio, quando non avevamo contezza della sua presenza e siamo stati colti impreparati. Ma ciò non significa che non ci sia ancora pericolo. Solo l’individuazione immediata dei focolai, tramite misure costanti della temperatura corporea e prelievo generalizzato di tamponi ci mette al riparo dal pericolo che si ripeta la situazione di marzo e aprile. Per scatenare un incendio in un bosco secco non serve il lanciafiamme, basta un fiammifero.
Molto meglio sarebbe che nessuno andasse in giro ad accendere fiammiferi perché, nonostante la stretta sorveglianza, non si può escludere che qualche caso sfugga e il contagio si possa estendere un’altra volta. Così come è successo in Spagna e adesso in Francia, dove il presidente Macron sta seriamente valutando l’opportunità di un nuovo lockdown.

Fortunatamente non ci troviamo nella loro stessa condizione, ma non possiamo adagiarci. Quegli oltre mille casi al giorno dell’ultima settimana devono indurci alla prudenza. Oggi siamo alla vigilia di un appuntamento cruciale, la riapertura delle scuole. Otto milioni di studenti stanno per ritrovarsi in classe. Ci si augura che saranno più attenti e diligenti dei frequentatori di discoteche estive, che gli insegnanti vigileranno scrupolosamente e che gli ambienti scolastici saranno predisposti ad accoglierli nel modo prescritto dai protocolli di sicurezza. Sono anche in consegna milioni di banchi singoli per assicurare la massima distanza possibile.

Non nascondiamoci però che la situazione è complicata. Tenere costantemente a distanza ragazzi e bambini che tendono naturalmente a stare insieme non sarà facile. Inoltre, anche quest’anno l’influenza stagionale colpirà molti di loro e al primo starnuto scatterà l’allarme. Distinguere poi una febbre influenzale consueta, da quella prodotta dal nuovo Coronavirus, non è possibile attraverso misure di temperatura corporea, ad esempio con i termoscanner, quindi ci sarà bisogno del tampone. E, nell’attesa del risultato del tampone, che si fa? si mette provvisoriamente in quarantena tutta la classe (e definitivamente, se dovesse risultare positivo)?

È pur vero che anche l’influenza stagionale sarà ostacolata dalle misure anticovid, ma non illudiamoci che non si presenterà.  Avevamo sperato, o ci eravamo voluti illudere, che il Coronavirus sarebbe stato debellato dal caldo estivo e dai provvedimenti per prevenirne la diffusione. Ma avevamo fatto i conti senza l’oste, cioè senza considerare i paesi in cui attualmente si sta sviluppando l’epidemia e quegli italiani che sarebbero andati comunque a visitarli. La riapertura delle scuole era stata prevista in un clima ormai rasserenato e in cui i rischi sarebbero stati rari e calcolati. Purtroppo non sarà così. Bisognerà usare la massima cautela. Il vaccino sta arrivando, ma a passo di tartaruga, non a volo di gabbiano. Contro il Coronavirus abbiamo vinto il primo round, ma nell’intervallo ha ripreso forza ed è indispensabile incalzarlo, perché non possiamo permetterci di arrivare al terzo…