Siamo sicuri che Filippo Ferlazzo, l’assassino di Civitanova, rappresenti una tipica figura dei nostri tempi, l’epitome di una società fondata sui consumi, l’indifferenza e una sistematica xenofobia, la conseguenza inevitabile di un sistema di vita che ha sostituito la compassione con la (feroce) competizione e una elementare umanità con la prepotenza e una paura isterica dell’altro? Ho letto che per qualcuno Ferlazzo, nella sua irrefrenabile furia omicida, si sarebbe sentito in qualche modo giustificato, “autorizzato” da una mentalità oggi dominante. Non si cela in queste analisi un cattivo estremismo, una qualche tentazione apocalittica, e insomma un Pasolini andato a male?

Nel 1993 lo scrittore e sociologo Gianfranco Bettin pubblicò L’erede, sulla vicenda di Pietro Maso, che nel Profondo Nord della provincia veneta uccise i propri genitori, con l’aiuto di alcuni amici, per intascare prima l’eredità. Un reportage bellissimo e penetrante, alla maniera di Truman Capote. Però assumere Pietro Maso, con il suo orrendo gesto omicida, come “l’erede” in fondo più coerente di una intera cultura e società, dei messaggi che questa società ogni giorno ci invia (soprattutto attraverso la pubblicità), conteneva un rischio interpretativo, e in un certo senso tendeva a svalutare la “dismisura” pure contenuta in quel gesto, il suo essere un gesto deviante e inassimilabile a modelli di comportamento correnti. Sì, Pietro Maso era anche espressione di un orrore ordinario e riconoscibile, di una mostruosità che ci è familiare (il male è sempre anche banale) e che appartiene allo Spirito del tempo, ma non possiamo trascurare del tutto la curvatura psicopatologica che quello Spirito del tempo ha preso dentro la sua mente.

Già Pasolini quindici anni prima, polemizzando con Calvino sul delitto del Circeo, aveva obiettato che i suoi artefici non erano semplicemente dei neofascisti, dei pariolini violenti abituati all’impunità, il “frutto marcio” della borghesia italiana (Calvino aveva messo in analogia la loro criminalità sessuale con quella politica), ma quasi l’avanguardia (perversa) di una intera generazione, ormai dedita solo ai consumi, di una umanità mutante interclassista, e dunque anche popolare e non solo borghese, del tutto sradicata e priva di valori. Le cose stanno proprio così? Sì e no.

Sì, perché è vero che la nostra cultura, la Tv, i media, i social, etc. sembra aver smarrito ogni senso della misura, ed è da molto tempo impregnata di odio, di fanatismo e di morte (solo aver messo in Rete i 40 secondi dell’assassinio è pura barbarie necrofila), e certamente non possiamo minimizzare gli effetti della “mutazione” antropologica degli ultimi decenni (peraltro studiata ed indagata in innumerevoli libri). Per altre culture, come quella islamica, l’Occidente si riassume nel famigerato video fatto da un gruppo di marines nel carcere di Abu Ghraib: pornografia e spettacolo.

No, perché non è che se uno entra in uno shopping mall, anche smanioso di acquistare l’ultimo iPhone o di accaparrarsi l’ultimo prodotto della Nike, ha la vocazione del serial killer! Non è che se uno che, vivendo in periferia, nutre qualche timore per la sciagurata gestione dei flussi migratori, approvi il genocidio! Ripeto: non vanno sottovalutati gli inviti – anzi gli imperativi – della pubblicità ad assecondare acriticamente qualsiasi desiderio, senza alcun freno (proprio la Nike: “Just do it!”), o a viversi ansiosamente tutte le chance del presente, sotto un cielo abbandonato dagli dei (slogan, che considero vagamente angoscioso, di uno shampoo per schiarire i capelli: “Hai una sola vita, perché non viverla da bionda?”). Però, contro ogni determinismo sociologico, credo che l’immaginario della stragrande maggioranza delle persone non sia occupato solo dalle merci e che, per fare un esempio, ognuno sa bene distinguere gli “amici” di Fb dai propri amici reali!

Il nostro presente ci invia continuamente messaggi contraddittori, che occorre decifrare con pazienza: c’è la omologazione pasoliniana ma al tempo stesso si tratta di una omologazione differenziata, dato che perfino per la pubblicità conta il profilo altamente individualizzato delle persone. Va bene, la criminalità si è diffusa pervasivamente nelle nostre metropoli, impadronendosi di bar, pizzerie, ristoranti, palestre, etc. (e la sua violenza è spesso sommersa), però quando avevo dieci anni mi capitava spesso di vedere due persone fare a botte per strada per futili motivi, oggi quasi mai.

Voglio dire: la norma resta comunque – almeno nel nostro paese – quella di una convivenza abbastanza pacifica e di una quieta tolleranza. Filippo Ferlazzo, come abbiamo appreso, è un ex tossico con disturbi bipolari, con un passato di Tso, ricoveri urgenti, fughe dagli ospedali… (non discuto qui se questa sia un’attenuante). E anzi: il fatto che nessuno sia intervenuto per fermarlo (chissà però a parti invertite: nigeriano che ammazza di botte un italiano…) testimonia paradossalmente di una conquista civile credo irreversibile. Abbiamo tutti così espulso la violenza dal nostro orizzonte che quando invece la violenza dovremmo usarla per difendere un aggredito ci sentiamo impotenti, rammolliti, imbelli.

Senza per questo trascurare il “romanzo criminale” continuamente intrecciato alla nostra vita quotidiana, vorrei concludere con i versi di una poesia civile di Hans Magnus Enzensberger, peraltro intellettuale scettico e non particolarmente ottimista, del 1999. Si intitola “Canzoncina ottimistica”: “Qui e là si dà il caso / che qualcuno gridi e chiami aiuto, Subito un altro si butta in acqua, /assolutamente gratis/ (…) / La mattina le strade son gremite / d’individui che senz’estrarre coltelli, /vanno avanti e indietro in tutta calma / per acquistare latte e rapanelli. / Come nella pace più totale. / è un gran bel vedere”.