Alessandro Impagnatiello “ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa”. È quanto si legge nella richiesta di giudizio immediato formulata dalla procuratrice aggiunta di Milano Letizia Mannella e la pm Alessia Menegazzo e allegata al decreto di giudizio immediato che la gip Angela Laura Minerva ha notificato ai legali coinvolti nel processo per il femminicidio di Senago – – avvocati Giulia Geradini e Samanta Barbaglia per 30enne e avvocato Giovanni Cacciapuoti per la famiglia di Giulia Tramontano. L’ex barman è accusato di omicidio pluriaggravato dai futili motivi, l’averlo commesso con crudeltà, con premeditazione e nei confronti della convivente, occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza non volontaria. Il processo inizierà il 18 gennaio davanti alla corte d’assise di Milano presieduta dalla giudice Antonella Bertoja.

Giustizia riparativa: di cosa si tratta?

La giustizia riparativa è una forma di risoluzione del conflitto, complementare al processo, basata sull’ascolto e sul riconoscimento dell’altro con l’aiuto di un terzo imparziale chiamato “mediatore”[1]. Con la restorative justice non si cerca di ottenere la punizione dell’autore del reato ma piuttosto di risanare quel legame con la società spezzato dal fatto criminoso. Si instaura così un contatto diretto tra offeso e offensore, il quale permette al primo di esprimere i propri sentimenti ed emozioni in relazione alla lesione subita, e al secondo di responsabilizzarsi.

Il ruolo della giustizia riparativa

Nel nostro ordinamento, come detto, la giustizia riparativa non costituisce un metodo alternativo a quello della giustizia ordinaria ma assume un ruolo incidentale, che molto spesso va solamente ad appianare il trattamento sanzionatorio spettante a colui che è stato giudicato colpevole al termine del processo ed abbia parallelamente svolto un programma di riparazione recante esito positivo. I motivi che portano il nostro ordinamento a non riconoscere una forma di giustizia riparativa sono rinvenibili all’interno della Costituzione e, in particolare, all’articolo 112, il quale sancisce il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Infatti, il pubblico ministero sulla base di un giudizio prognostico circa la probabilità di ottenimento di una sentenza di condanna, dovrà decidere se formulare archiviazione o esercitare l’azione penale[2]. Di conseguenza, «ciò rende impossibile considerare l’esito positivo della mediazione come un meccanismo impeditivo dell’azione penale»[3].

 

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