In tilt le democrazie liberali
Sentenza sull’aborto, la Corte Suprema dà un colpo micidiale ai diritti delle donne

“Un colpo micidiale inferto all’America dei diritti e al movimento delle donne. Un ritorno indietro di decenni”. Sono queste le parole usate, su questo giornale, da Umberto De Giovannangeli per commentare la sentenza della Corte Suprema americana che, con sei voti a favore e tre contro, “ha messo fine alle garanzie costituzionali per l’aborto che, negli Stati Uniti, erano in vigore da quasi cinquanta anni”. Questo sarebbe avvenuto perché, secondo Nadia Urbinati docente di Scienze politiche alla Columbia University di New York, “L’America è da tempo spaccata a metà e l’America più retriva, reazionaria, ha la meglio perché ha in mano la Corte Suprema”. In queste parole si intravede quella che, probabilmente, è una delle maggiori ragioni della crisi, che stanno attraversando le democrazie liberali.
Nelle parole della studiosa la questione sembra essere quella dei rapporti di forza nella Suprema Corte americana, come tale destinata a risolversi laddove dovesse invertirsi il rapporto tra reazionari e progressisti. Ma non è così. Anzi. È proprio la prospettiva utilizzata dalla studiosa a non essere appagante. In una democrazia liberale, che funzioni correttamente, gli organi di garanzia non dovrebbero essere ”in mano” ad una delle parti del gioco politico. Il ruolo di garanti dei principi fondamentali dovrebbe indurre i componenti di tali organi a tenere sempre e comunque, nelle loro decisioni, una linea di condotta “alta” e, perciò, del tutto libera dalle visioni anguste che governano la quotidiana contesa politica. Per avere un esempio vicino alla esperienza italiana, basta pensare al ruolo della Corte costituzionale nei primi decenni della sua attività, volto a consentire alla Carta costituzionale di esprimere tutte le potenzialità in essa racchiuse per la realizzazione di una società più eguale, più libera e più solidale, a prescindere dalla matrice dei singoli componenti.
Purtroppo, è accaduto, ed è in questa prospettiva che va considerata la sentenza della Suprema Corte americana sull’aborto, che gli organi di garanzia sono, negli ultimi decenni, venuti meno al loro ruolo, divenendo sensibili alla più spicciola competizione politica. Si tratta di una trasformazione che non ha risparmiato, a ben vedere, nessun organo di garanzia. Se si guarda alla regolazione dei mercati, gli esempi si sprecano. Per restare al caso americano, si indica, in genere, come esemplare reazione agli illeciti di mercato la promulgazione del Sarbanes-Oxley act, con cui nel 2002 furono introdotte sanzioni pesantissime per il reato di falso in bilancio, come reazione ai vari scandali che erano esplosi negli anni precedenti (Enron, Arthur Andersen, WorldCom, Tyco International) e che avevano minato la fiducia degli investitori. Ma nessuna iniziativa riguardò la SEC, che certamente non aveva adempiuto in modo adeguato alle sue funzioni di controllo del mercato. Del resto, che la soluzione non fosse nell’incremento delle pene, ma in un recupero del proprio ruolo in capo alla SEC, è confermato dalla circostanza che le sanzioni severissime introdotte non sono servite ad evitare, pochi anni dopo, lo scandalo Maidoff e, soprattutto, l’esplosione della bolla dei subprime, che ha avuto conseguenze economiche planetarie. Perché la SEC non ha adempiuto al suo ruolo? Hanno forse inciso i legami tra mondo della finanza ed alcuni soggetti politici?
Anche per quello che concerne l’Italia, gli esempi di cattiva gestione del proprio ruolo da parte degli organi di garanzia non mancano. Basta pensare alla pessima figura fatta dalla CONSOB rispetto allo scandalo Parmalat o alla altrettanto pessima figura fatta da Banca d’Italia con riguardo allo scandalo Monte dei Paschi di Siena. Resta forte il dubbio, su cui non è stata fatta alcuna luce, che gli organi di garanzia non abbiano fatto il loro dovere per corrispondere alle attese delle parti politiche di riferimento dei protagonisti degli scandali. Quando, tuttavia, sono le corti supreme a non svolgere il loro ruolo di garanzia, vi è un elemento ulteriore di corrosione del sistema democratico. La violazione dei principi è nascosta dietro un linguaggio da azzeccagarbugli, che finisce con il privare di qualsiasi sacralità il diritto, come strumento di regolazione dei rapporti umani, riducendolo a puro strumento di potere. La Corte Suprema americana ha giustificato la sua decisione affermando che una questione come quella dell’aborto sarebbe squisitamente politica e come tale dovrebbe essere affidata alla decisione dei rappresentanti del popolo. E, quindi, ha implicitamente affermato che su tale materia non vi sarebbe alcuna copertura sul piano dei principi e potrebbe essere oggetto non solo di differenti leggi tra i vari stati, ma anche di continui mutamenti legislativi in ciascuno stato in concomitanza con eventuali mutamenti della maggioranza. Appare, così, evidente che dietro l’aulicità delle parole usate, si nasconde il niente sotto l’aspetto culturale e dei valori.
Del resto, anche la Corte costituzionale italiana offre esempi straordinari di utilizzo del sapere dei propri componenti per nascondere il mancato assolvimento dei compiti di garanzia. Senza menzionare, ancora una volta, gli argomenti svolti per impedire il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, basta citare la sentenza n. 361 del 1998. Come noto, durante Mani Pulite era “uso” ottenere dalle persone incarcerate la confessione dei propri reati e la chiamata in correità di terzi. Non sempre i terzi chiamati in correità si piegavano, ma alcuni si protestavano innocenti e sfidavano l’accusa nel giudizio. Sennonché si trattava di una difesa menomata, in quanto i verbali di coloro che li chiamavano in correità costituivano prova anche se non era possibile sottoporre a controinterrogatorio chi aveva rilasciato quelle dichiarazioni. La violazione del diritto di difesa era di una tale evidenza che il legislatore, nonostante i tempi, intervenne per sanare l’obbrobrio. Ma la Corte costituzionale, forse preoccupata che l’ondata di Mani Pulite si indebolisse, subito ripristinò, con la sentenza ricordata, l’obbrobrio precedente.
Quelli citati sono tutti episodi di un florilegio infinitamente ampio, nel quale gli organi di garanzia sono stati bene attenti a privilegiare alcuni interessi, disinteressandosi dei principi che avrebbero dovuto tutelare. Ed è ovvio che, quando questo accade, il danno per il sistema democratico è doppio. Esso si misura non solo nella lesione che subisce il principio che avrebbe dovuto essere tutelato, ma anche nel discredito che finisce con il coinvolgere i vertici delle istituzioni, alimentando quella corrosione del sistema su cui si fondano i populismi. La speranza è che la vicenda della decisione della Suprema Corte americana sull’aborto abbia, smuovendo le coscienze, la capacità di far comprendere che la questione non è quella di riprendere “in mano” la Corte con una composizione diversa, ma quella di ricondurre gli organi di garanzia ad una piena fedeltà ai principi, che sono chiamati a tutelare. Tenendo conto del fatto che il loro ruolo è tanto più importante proprio in un momento come questo, che vede le società occidentali spaccate in contrapposizioni radicali.
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