L'intervista
Senza lavoro e tutele, il dramma di 100mila immigrati invisibili
C’è chi ha lavorato per anni senza un regolare contratto e, all’improvviso, si è trovato senza quell’unica fonte di reddito. C’è chi si è arrangiato con mezzi di fortuna e chi, infine, si è rassegnato a mendicare perché solo in una città travolta dalla crisi sanitaria ed economica. Eccoli, i migranti “invisibili”, quelli che sfuggono a qualsiasi censimento e che il Covid ha ulteriormente emarginato, costringendoli a vivere in condizioni ai limiti dell’umano. In Campania sono circa 98mila, più di un terzo dei 270mila che complessivamente si trovano sul territorio regionale secondo quanto emerge dal dossier sull’immigrazione Idos 2020. Sono loro ad aver patito le più pesanti conseguenze della pandemia e dei conseguenti lockdown.
«Quando parliamo di migranti le maglie del disagio si amplificano – spiega Camilla Iovino, segretaria confederale della Uil Campania con delega all’immigrazione – soprattutto per coloro che sono privi del permesso di soggiorno, lavorano in nero, pagano un affitto in nero e non hanno nemmeno libero accesso al diritto primario alla salute». In Campania vivono quasi 270mila migranti, ma solo 172.607 hanno il permesso di soggiorno e, dunque, un lavoro regolare. C’è una prevalenza delle comunità ucraina, rumena, marocchina, cingalese, cinese e nigeriana. La maggiore concentrazione si registra nel Casertano che ospita il 5,4% di stranieri sul totale dei residenti, seguito dalle province di Salerno con il 5,2, Napoli con il 4,4, Benevento con il 3,7% e Avellino con il 3,4. Circa 98mila, però, sarebbero gli immigrati irregolari, di cui lo Stato ignora l’esistenza e che di conseguenza non dispongono di alcun tipo di tutela. «Quando tutte le attività sono state chiuse gli immigrati completamente invisibili non solo non hanno potuto lavorare come tutti gli altri – dice Iovino – ma non hanno potuto accedere ai bonus, alla cassa Covid e a nessun tipo di sostegno previsto da Governo e Regione: sono stati lasciati completamente soli». E le loro storie, quasi sempre drammatiche, sono state ascoltate solo da sindacati e associazioni.
La Uil, insieme con Hamef, Action aid e comunità di Sant’Egidio, hanno distribuito beni di prima necessità e mascherine. A nessuno interessava come i migranti potessero sopravvivere alla pandemia: al Covid si è sommato, per loro, il virus dell’indifferenza. «Ai nostri sportelli hanno raccontato storie terribili – racconta Iovino – Alcuni non riuscivano a pagare le utenze o l’affitto in nero, altri hanno dovuto lasciare le case dall’oggi al domani, altri ancora non potevano nemmeno a fare la spesa». Negli ultimi mesi il Governo è intervenuto prima con la sanatoria e poi con il Decreto Flussi. «Quando è stata annunciata la sanatoria, cioè la regolarizzazione e l’emersione di italiani e stranieri dal lavoro nero, ci aspettavamo una misura più ampia in grado di risolvere i problemi di numerosi immigrati – prosegue Iovino – Invece la regolarizzazione ha riguardato solo colf, badanti e agricoltori. Per non parlare senza parlare delle formalità burocratiche da superare in fase istruttoria che hanno di fatto escluso gli immigrati attivi in altri settori. Una mossa poco coraggiosa, per non dire opportunistica». Secondo il sindacato anche il Decreto Flussi, che ha fissato a 30.850 la quota massima di lavoratori extracomunitari che potranno fare ingresso in Italia, si è rivelata una misura debole rispetto alle problematiche e al numero di migranti presenti sul territorio.
Eppure, secondo il sindacato, qualche passo in avanti è stato pur fatto. «Il Governo – aggiunge Iovino – ha smantellato i due indecenti Decreti Sicurezza ripristinando il permesso umanitario, che adesso si chiama protezione speciale, e altre misure che davano dignità ai migranti. Così ci siamo riappropriati di nuovo del nostro volto umano». Ma una simile misura basta a restituire la speranza a chi arriva in Campania in cerca di lavoro e di una vita dignitosa? «Vanno amplificate le vie d’accesso regolari, bisogna investire in strumenti per l’integrazione e condividere con l’Europa azioni più efficaci che salvaguardino la vita e i diritti di persone – conclude Iovino – Non dimentichiamo che molti di loro sono originari di Paesi sottosviluppati dove imperversano guerre, malattie e povertà profonda».
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