26 novembre
Separazione carriere, la regina di tutte le riforme al debutto in Parlamento: l’orgoglio di ‘papà’ Nordio
La regina di tutte le riforme sulla giustizia, la separazione delle carriere tra giudici e accusatori, è pronta con il vestito della festa per approdare in un’aula parlamentare tra meno di un mese, il 26 novembre. Con la soddisfazione dei suoi papà, il ministro Carlo Nordio, Forza Italia con il suo figliuol prodigo Enrico Costa, e l’Unione delle Camere Penali. Arriva in un momento politico particolare, in cui pare che gli schiaffoni che d’abitudine singole toghe piuttosto che il loro sindacato rifilano al governo, abbiano finalmente determinato un brusco risveglio anche in chi, come la presidente Giorgia Meloni, non ne aveva mai voluto prendere atto.
Dal processo a Matteo Salvini, il ministro dell’interno cui si doveva dare torto, da parte della magistratura associata, anche se aveva ragione, fino a certe più recenti dichiarazioni, finalmente arrivano risposte di orgoglio sulla nobiltà della politica. Proprio ieri il ministro guardasigilli non si è fatto sfuggire l’occasione per sbranare a morsi la mail di quel tal magistrato Paternello che pareva rimpiangere i bei tempi in cui si poteva dare addosso a un presidente del consiglio come Silvio Berlusconi, facilmente attaccabile perché inquisito. Meloni è più “pericolosa” e quindi più forte, aveva scritto. Sottinteso, anche la nostra lotta deve essere più incisiva. Scontato che la magistratura debba dare addosso al governo, e magari personalmente al premier.
Le affermazioni del magistrato Paternello? “Le ho ritenute non solo improprie- immaginiamo la voce accesa di Carlo Nordio- ma anche indecenti”. E poi. “In qualsiasi Paese normale avrebbero sollevato una rivoluzione”. Già, ma in Italia coloro che furono rivoluzionari, cioè quelli della sinistra, non solo sono da tempo pompieri, ma usano le proprie scarse energie solo per accodarsi a ogni spiffero, a ogni soffio che provenga dalla toga di un pubblico ministero. Una reazione pavloviana, automatica e inevitabile. In Liguria nei mesi scorsi i due soggetti paiono aver vissuto persino in simbiosi. Viene in mente il “cavallo di razza” in cui si annidava un parassita, citato da un altro famoso ex guardasigilli, Palmiro Togliatti. L’osmosi tra i due ruoli a Genova ha raggiunto il suo apice in una giornata tra le più afose dello scorso luglio, quando gli uni manifestavano in piazza De Ferrari contro una persona in ceppi, e gli altri spiccavano nuove manette per Giovanni Toti. Inutilmente, a guardare i risultati elettorali alle regionali liguri di lunedì scorso. Non sarebbe valsa la pena, avrebbe detto, come già disse, il procuratore di Milano Saverio Borrelli dopo la vittoria elettorale di Berlusconi nel 1994, di fare tutta questa rivoluzione in toga per arrivare a un traguardo per noi così negativo.
È probabile che quel giorno sia rimasto nella memoria dei liguri come una data da segnare sul calendario. Perché infierire sul ferito a terra e tentare di giustiziarlo è una di quelle cose che noi italiani siamo portati a non accettare, chiunque sia l’obiettivo di tanta ferocia. E non è bastata la vociferazione degli antagonisti politici sulla “vergogna” di un ex presidente di Regione che ha accettato la proposta della procura a un patteggiamento per lui molto conveniente perché cancellava di fatto l’onta di esser considerato un amministratore corrotto. Non è stata sufficiente neppure qualche frase buttata là sulla malattia del nuovo candidato del centrodestra Marco Bucci a far temere agli elettori una fragilità nel fisico e nei tempi futuri per allontanarli.
Ma il risultato più rilevante è stato l’inizio di una rivoluzione culturale in quella parte del centrodestra più rigida rispetto alla svolta garantistica di Nordio. Si sono svegliati in parecchi (forse c’è speranza anche per il sottosegretario Andrea Del Mastro Delle Vedove) dopo che abbiamo assistito all’azione della magistratura sul “progetto Albania” del governo, fino all’intervento di un gruppo di pensatori del Consiglio d’Europa e all’ultimo sberleffo di un giudice di Bologna che scrive una frase cretina sulla Germania di Hitler che quei tontolotti del governo sarebbero tentati di considerare “paese sicuro”. E la stessa premier Giorgia Meloni sta osando l’inconfessabile, in qualche dichiarazione osé su certe toghe. E la giustizia da tema controverso anche all’interno della maggioranza di governo pare diventare centrale momento di forza compatta.
In questo clima, in un campo di battaglia in cui non c’è più un soggetto, quello della politica, a combattere a mani nude, plana in aula con il vestito della festa sua altezza la regina delle riforme sulla giustizia. E qui si parrà la nobilitate di chi questa riforma dovrà portare a termine. Il ministro Nordio conta di arrivare alla quarta lettura prevista dalla norma costituzionale entro il prossimo mese di luglio, per poi andare al previsto referendum, dal momento che sarà molto difficile evitarlo raggiungendo una maggioranza qualificata in aula. E lì sarà un bel busillis, non tanto per il contenuto, dal momento che mai come in questo momento storico la magistratura è malvista in Italia, quanto per la partecipazione. Anche se la Liguria insegna che l’ottimismo della volontà a volte può prevalere sul pessimismo della ragione.
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