«Le gravi difficoltà in cui versa la magistratura italiana sono sotto gli occhi di tutti. È indispensabile pertanto che le correnti ritornino ad essere solo espressione di diversità culturali tra i magistrati e non veri e propri centri di potere». Ne è convinta Maria Rosaria Pupo, attuale consigliere dell’ottava sezione civile della Corte d’Appello di Napoli, in passato pm a Sant’Angelo dei Lombardi, prima gip e poi giudice civile a Santa Maria Capua Vetere. È tra i candidati indipendenti al Csm scelti con il meccanismo del sorteggio dal Comitato Altra Proposta.
«Grazie ad un’esperienza così variegata ho potuto maturare una visione complessiva della giurisdizione e dell’ordine giudiziario. Al referendum indetto dall’Anm nella prospettiva della riforma del Csm, ho votato a favore del sistema del sorteggio “temperato” perché sono fermamente convinta che, allo stato, onde ridurre il potere delle correnti (ormai vere e proprie lobby) occorre da un lato consentire a tutti i magistrati di essere candidati (ponendo fine alle nomine correntizie) e dall’altro garantire agli elettori la possibilità di scegliere i candidati con cui hanno comunanza d’idee, di prospettive e di valori». Già, le lobby.
«Nel corso della mia carriera, con grande rammarico, ho assistito impotente allo scemare inesorabile del prestigio della magistratura, all’esaltazione del carrierismo a tutti i costi, favorito dal peso sempre più crescente ed ormai soffocante delle correnti – racconta il giudice Pupo – . Ho visto colleghi bravissimi e stimatissimi surclassati da altri che, ai vari concorsi per incarichi direttivi o semidirettivi avevano come unico titolo preferenziale l’appartenenza alla corrente più forte in quel momento. Ho raccolto la delusione ed il disincanto di colleghi che hanno rinunciato a partecipare al concorso per Presidente o Procuratore, pur di non perdere la propria dignità “questuando” al potente di turno. Ho spesso subito l’ostracismo ed il mobbing solo perché non ero né iscritta né simpatizzavo per la potente corrente di turno. Ma non per questo mi sono arresa. Non ho ceduto a ricatti, dispetti, ritorsioni, né ho lasciato correre, denunciando tutto alla Procura Generale presso la Cassazione ed al Csm e pagandone in prima persona le conseguenze».
Di qui la scelta di accettare la candidatura. «Sono consapevole di partecipare ad un’avventura difficilissima, ma non impossibile, perché la Giustizia è sempre stata uno dei capisaldi del mio credere civile e la speranza che ripongo in una sua rinascita è grande e dura a morire. Il caso Palamara, non ha sconfitto le logiche correntizie che anzi, a mio parere, sono andate consolidandosi sotto forme nuove e “più accorte”». «In questi ultimi anni abbiamo assistito a una deriva clientelare ed autoreferenziale della magistratura generata dalla riforma Mastella/Castelli la quale, ai fini della valutazione dei magistrati per il conferimento degli incarichi direttivi, semidirettivi e di legittimità, ha sostituito il criterio oggettivo dell’anzianità, con quelli “soggettivi” delle specifiche attitudini e del merito. A ben vedere, si tratta di scatole terminologiche vuote, idonee ad essere riempite di qualunque significato a secondo della convenienza. Si è così pervenuti alle “disgraziate” nomine a “pacchetto”, adottate dal Csm all’unanimità (si badi bene) per rispondere a logiche puramente spartitorie».
«Il “carrierismo” – aggiunge – ha infettato la magistratura producendo gli effetti nefasti che ormai a tutti noti. L’incarico al Csm spesso non è altro che il coronamento di una carriera politica iniziata con i Consigli giudiziari, proseguita con gli incarichi extragiudiziari o con le varie deleghe dei capi degli uffici (che in tal modo costruiscono “la carriera” del magistrato appartenente alla loro corrente, assegnandogli quelle che sono definite in gergo “medagliette”, utili ai fini della valutazione delle attitudini specifiche)». Per il giudice Pupo occorre puntare su criteri come l’anzianità, «criterio mai dismesso dalla giustizia amministrativa che infatti non ha vissuto gli scandali che hanno afflitto quella ordinaria». Posto, poi, che la soluzione dei problemi che attanagliano la magistratura passa anche attraverso la razionale distribuzione delle risorse tra Tribunali e Procure, uno dei punti programmatici riguarda gli incarichi extragiudiziari.
«Sottraggono capacità lavorativa ai Tribunali e alle Corti e creano, col sistema attuale del merito e delle specifiche attitudini (interpretati ad arte dalle correnti) corsie preferenziali per avanzamenti di carriera. Vanno drasticamente ridotti disponendo, quale criterio di legittimazione per partecipare a concorsi per posti direttivi, semidirettivi o di legittimità, che al termine dell’incarico extragiudiziario il magistrato debba necessariamente tornare ad esercitare, per un determinato periodo di tempo, le medesime funzioni giurisdizionali svolte in precedenza, onde evitare che detti incarichi costituiscano, come lo sono attualmente, trampolini di lancio per raggiungere in brevissimo tempo le più alte vette della carriera in magistratura».