La polemica
Servizi di sicurezza, a che servono se non ci sono problemi specifici incombenti?

La preoccupazione maggiore dei nostri apparati di sicurezza sembra rivolta a una lettura diversa dei cosiddetti anni di piombo rispetto alla storiografia ufficiale che rischia di trovare consensi “nell’uditorio giovanile”. Usano proprio questo termine gli apparati nella loro relazione annuale al Parlamento presentata nei giorni scorsi con un po’ di ritardo e che è passata inosservata sui giornali soprattutto perché mancavano indicazioni su pericoli specifici incombenti. Ma è meglio lasciare direttamente la parola ai “servizi” prima di spiegare la ragione di queste povere righe.
«L’attività di costante monitoraggio informativo assicurata dal comparto intelligence ha rilevato in linea di continuità con gli ultimi anni il proseguire dell’impegno divulgativo specie attraverso la testimonianza di militanti storici e detenuti “irriducibili”, volto a tramandare la memoria degli “anni di piombo” e dell’esperienza delle organizzazioni combattenti. La propaganda si è in particolare rivolta in un’ottica di proselitismo a un uditorio giovanile con un occhio di riguardo alla composita area dell’antagonismo di sinistra sulla cui sensibilità risulta tarata una lettura trasversale in chiave rivoluzionaria dell’antifascismo dell‘antimilitarismo e dell’antiimperialismo nonché delle questioni correlate al disagio sociale dall’emergenza abitativa a quella migratoria passando per le criticità del mondo del lavoro».
Bisogna ricordare che nel nostro paese esistono apparati costosissimi e spropositati rispetto alla bisogna dal momento che ormai da molto tempo quel po’ di conflitti sociali in essere non sembra in grado di costituire “un pericolo per la democrazia”. Ma di queste strutture e soprattutto dei loro costi appare pressoché impossibile parlare nel senso di suscitare un dibattito pubblico sui mezzi di informazione. Vige una sorta di segreto di stato di fatto che nessuno è disposto dentro il circuito istituzionale a mettere in discussione. Gli apparati al fine di giustificare sia loro esistenza sia il privilegio di disporre di quantità molto rilevanti di fondi scriverebbero qualsiasi cosa e
sanno benissimo che il solo evocare il tentativo di rivoluzione, il più serio nel cuore del capitalismo occidentale, fallito quarant’anni fa li mette al riparo da qualsiasi osservazione critica.
Succede tanto per fare un esempio che il raggruppamento speciale dei carabinieri arrivi a chiedere di investire l’attività del mitico Ris di Parma per rilevare il Dna di un gruppetto di ventenni responsabile di uno striscione pro-palestinesi davanti alla sede del Corriere della Sera. Nel caso specifico pare che la procura di Milano non abbia dato seguito all’iniziativa. E parliamo della procura che di recente ha in pratica azzerato le lotte per la casa con misure cautelari e reati associativi per un collettivo dì militanti pur specificando che il tutto non aveva scopo di lucro. Da tempo siamo in presenza di una repressione di tipo preventivo che ha il compito di ammazzare nella culla eventuali azioni “sovversive”.
Di questo quadro si giocano i nostri apparati di sicurezza dove chi ne fa parte teme di veder finire la vita nella bambagia e di essere “mandato a lavorare”. Ma si tratta di rischi puramente teorici sia perché la politica è debole incapace di prendere decisioni forti sia perché gli uffici inquirenti le procure anche quando non danno seguito agli input degli apparati (con i quali dovrebbero avere nulla a che fare ma tutti sanno che non è così) però ne coprono le gesta perché tra poteri come dicono a Napoli “si apparano”.
In tempi di spending review non sarebbe male avviare una discussione seria in merito. Ma ricordiamo che siamo nel paese in cui a quarant’anni dai fatti sono andati con il laser in via Fani per stabilire se a sparare alla scorta di Moro erano state solo le Br. L’esperimento portò a concludere che sì solo le Br. E tutto si chiuse con 18 righe sul Sole 24 ore. Quanti soldi nell’occasione buttati dal balcone? Impossibile saperlo dalla commissione parlamentare e dalla procura generale di Roma. Ma si sa che il procuratore generale di Roma poi è diventato il pg della Cassazione. Insomma se la cantano e se la suonano. Tutto in famiglia.
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