Due occasioni perse e una speranza tra Parlamento e Corte Costituzionale in questi giorni nell’agone in cui incrociano le lame la politica e la magistratura. Legge Severino, terzo mandato elettorale e riforma del danno erariale all’ordine del giorno. Ogni volta in cui un cittadino viene eletto alla funzione di sindaco o presidente di Regione, sa di avere intorno al collo alcuni nodi scorsoi che si spingono fino a stringere la giugulare. Perché sa di avere un tempo limitato, due mandati, e a nulla vale l’avere ancora molto consenso e molte opere da completare. E poi, perché c’è una norma sciagurata del 2012, detta “legge Severino”, che ne impone la sospensione dall’attività per una sentenza provvisoria che, nel 97% dei casi, finirà con un’assoluzione. E anche perché c’è sempre in agguato la magistratura contabile della Corte dei Conti, pronta a scaricare su di lui le pallottole del danno erariale.

Le armi messe dalla politica nelle mani della magistratura

Questi nodi scorsoi intorno al collo della politica sono stati consentiti o voluti dalla politica medesima e dalla propria inconsapevolezza, che ha messo nelle mani della magistratura armi con la pallottola in canna. Prendiamo la Legge Severino, quella che con trattamento ineguale tra eletti impone ai soli amministratori locali o regionali la sospensione dalla carica dopo una sentenza di condanna di primo grado, mentre per i parlamentari diventa esecutiva solo dopo una sentenza definitiva. L’occasione persa, l’ultima, l’abbiamo vista mercoledì alla Camera, dove un imbarazzato Carlo Nordio, sollecitato dai deputati di Forza Italia che chiedevano al governo di modificarla, ha detto che per ora non se ne parla perché “attualmente la nostra più importante preoccupazione è la lotta alla criminalità amministrativa”.

Bum! si direbbe in un fumetto, quando uno l’ha sparata grossa. Ma se il selciato intorno a Regioni e Comuni è cosparso delle vittime di quella norma, e solo per citare l’ultimo caso, l’ex governatore dell’Abruzzo Gianni Chiodi, è stato assolto dopo undici anni in cui ha perso tutto anche sul piano personale. Il problema è politico e lo sappiamo. Perché, quando sarà approvata in quarta lettura la riforma sulla separazione delle carriere tra giudici e requirenti e si andrà al referendum, ci si dovrà presentare con le “mani pulite” anche agli occhi di chi le guarda con malizia biforcuta.

Parliamo di qualche organo di stampa, ma anche di qualche militante in toga che potrebbe insinuare il tentativo di sottoporre il pm all’esecutivo per “salvare i ladri”. Se ne facciano una ragione i bravi deputati Pietro Pittalis, che aveva presentato anche una proposta di legge già un anno fa, ed Enrico Costa, che ricorda al governo il parere favorevole già dato su diversi ordini del giorno. Ma la memoria è qualcosa di fragile, e lontani sono i giorni in cui Carlo Nordio era il presidente del referendum presentato da Lega e radicali per l’abrogazione della Legge Severino.

Il terzo mandato: o tutti o nessuno

Anche la Corte Costituzionale, croce e delizia dello Stato di diritto, ci mette del suo, persino sulla palese violazione dell’articolo 27 sulla presunzione di innocenza. La sospensione non è una sanzione penale, ha detto, ma di tipo civile, a tutela dell’ordine pubblico. Come se privare i cittadini di un proprio amministratore fosse un modo di tutelarli. Ma la Corte Costituzionale ha ragione per definizione, e lo ha dimostrato bocciando la legge regionale della Campania che avrebbe consentito al governatore De Luca di candidarsi per la terza volta e avrebbe aperto la strada anche ad altre regioni, a partire dal Veneto. I giudici hanno ribadito, benché la materia elettorale sia tra quelle concorrenti tra Stato e Regioni, la prevalenza della legge generale rispetto a quelle locali.  Il che non ha impedito, nelle stesse ore in cui stava deliberando la Consulta, che la provincia autonoma di Trento votasse il contrario e consentisse al presidente Maurizio Fugatti di ricandidarsi per la terza vota. Vien voglia di stare dalla parte degli orsi.

Niente di personale, ma non ci piacciono le ingiustizie. O tutti o nessuno. C’è stata però una volta in cui l’Alta Corte ci è piaciuta, quando, circa un anno fa, ha chiesto che fossero meglio “tipizzate” alcune norme sulla Corte dei Conti. Naturalmente anche i magistrati contabili, proprio come i loro colleghi, stanno già trovando il mondo di protestare, ma alla Camera intanto è stata già approvata una prima riforma. La norma, il cui primo firmatario era stato Tommaso Foti prima di diventare ministro, mette ordine nei poteri della Corte e sul danno erariale, limitando la responsabilità dell’amministratore ai casi di dolo e colpa grave. Il primo passo per superare la “burocrazia difensiva” e la paura della firma che blocca amministratori e funzionari. Una boccata d’ossigeno, dopo due crisi respiratorie dello Stato di diritto.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.