Il più giovane dei Rettori italiani, Carlo Alberto Giusti, Università degli studi Link Campus di Roma, è un comparativista che lavora a cavallo tra mondo accademico italiano e Stati Uniti. Dal suo osservatorio, analizza le dinamiche del multilateralismo e il rinnovato status dell’Italia nel mondo.

Rettore, a Parigi nei giorni scorsi l’Italia è sembrata più che mai al centro degli equilibri internazionali. Qual è il quadro dei rapporti con Usa e Ue?
«L’Italia sta vivendo un momento di grande centralità, emergendo come attore chiave nel panorama internazionale, soprattutto nel contesto delle turbolenze in Europa: il ruolo del nostro Paese è ormai riconosciuto da entrambe le sponde dell’Atlantico, e questo è un dato nuovo da decenni. Questa posizione è dimostrata ad esempio dall’incontro bilaterale tra il presidente del Consiglio italiano e Donald Trump durante l’evento di Notre Dame, dieci giorni fa. Nell’occasione, la scelta di Trump di prevedere solo due incontri bilaterali — uno con l’erede al trono britannico, il Principe William, e l’altro con il leader italiano — ha sottolineato l’importanza attribuita Roma, confermando l’Italia come interlocutore privilegiato e affidabile».

Non è un caso che Politico abbia identificato in Giorgia Meloni la personalità più potente d’Europa.
«Il fatto che una testata internazionale di così grande prestigio abbia fatto questa scelta, definendo quello attuale come “uno dei più stabili governi mai esistiti nell’Italia del dopoguerra”, è un ulteriore segnale della crescente rilevanza dell’Italia sulla scena internazionale, una sfida che porta con sé responsabilità ma anche straordinarie opportunità. Questa posizione richiede però una gestione attenta: rafforzare i rapporti con Washington è fondamentale, ma altrettanto cruciale è guidare il dialogo con i partner europei in un momento in cui l’Unione europea mostra segnali di fragilità strutturale».

E nei confronti della Nato, l’Italia come si pone?
«Anche in ambito Nato l’Italia si propone con una posizione di mediazione tra le richieste di aumento del contributo da parte degli Stati membri avanzate da Washington e le resistenze di alcuni Paesi europei. Questi successi evidenziano una capacità significativa di dialogo e pragmatismo, che rafforza il peso del nostro Paese sulla scena internazionale».

Questa nuova centralità dell’Italia porta con sé opportunità ma anche qualche sfida…
«L’Italia può sfruttare questo rapporto privilegiato con gli Stati Uniti attraendo partenariati industriali e investimenti in settori come energia e tecnologia, anche aspettandosi un occhio di riguardo per i prodotti italiani rispetto alla minacciata imposizione di dazi. Ma queste opportunità comportano anche sfide, sì. Esercitare un ruolo di ponte espone l’Italia a pressioni contrapposte: da un lato, soddisfare le aspettative americane, ad esempio sull’aumento dei contributi alla Nato. Dall’altro, mantenere la coesione con gli altri membri dell’Ue. Inoltre, la crescente visibilità internazionale richiede una stabilità politica interna e una capacità di visione a lungo termine, aspetti che storicamente non sempre sono stati garantiti».

Dunque quali strategie dovrebbe adottare l’Italia per consolidare il suo ruolo?
«A mio parere l’Italia sta adottando al momento la migliore strategia possibile dimostrando la propria credibilità internazionale: mediante la nostra rete diplomatica si stanno consolidando solide alleanze, attraverso l’auspicata sinergia con gli Stati Uniti, ma mantenendo il dialogo con Francia, Germania e Regno Unito e con i partner mediterranei. Si sta investendo in settori strategici come l’istruzione, la coesione, il Piano Mattei, l’IA e la difesa: questi investimenti miglioreranno la capacità dell’Italia di affrontare le sfide globali come il cambiamento climatico e la sicurezza internazionale».

In Francia si cambia premier, che significato dà al nuovo corso scelto da Macron?
«La nomina di François Bayrou a Primo Ministro può rappresentare un effettivo cambio di passo della tormentata politica francese contemporanea. Macron ha voluto di certo giocare la carta più sicura tra quelle a disposizione. La sua indecisione nelle scorse settimane ha evidenziato non soltanto una strategia politica esitante. È stata deleteria dal punto di vista del funzionamento dell’amministrazione francese. Nel 2024 a causa dell’instabilità politica si sono perdi ben 75 giorni: come ha detto bene Marc Lazar qualche giorno fa, ci saranno ripercussioni sociale ed economiche enormi».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.