Moderati sì, anche se tra i tanti e legittimi dubbi dell’Occidente, ma sicuramente non democratici. A chiarire che sotto il dominio dei Talebani l’Afghanistan non sarà una democrazia, ma che seguirà la legge della sharia, è stato un alto funzionario del gruppo islamico.

Waheedullah Hashimi, intervistato dall’agenzia di stampa Reuters, ha spiegato che nel Paese “non ci sarà affatto un sistema democratico perché non ha alcuna base nel nostro Paese”. Non ci sarà quindi alcuna discussione su quale tipo di sistema politico dovremo applicare in Afghanistan “perché è chiaro: è la legge della sharia e basta”.

Hashimi ha anche aggiunto che il comandante supremo del movimento, il mullah Haibatullah Akhundzada, avrà un ruolo importante nel nuovo Afghanistan, ma “forse sarà uno dei suoi vice il presidente”. Candidati per questo ruolo sono quindi tre esponenti di rango della gerarchia talebana: Abdul Ghani Baradar, l’uomo che ha guidato i negoziati con gli Stati Uniti a Doha, Mawlavi Yaqoob, figlio del Mullah Omar, Sirajuddin Haqqani, capo della potente rete di miliziani Haqqani.

PARLA L’EX PRESIDENTE GHANI – Intanto dagli Emirati Arabi Uniti, dove si è rifugiato dopo una iniziale tappa in Uzbekistan, è tornato a parlare l’ex presidente afghano Ashraf Ghani. In un videomessaggio Ghani, aspramente criticato dalla comunità internazionale e dal suo stesso popolo per la repentina fuga fuori dal Paese, ha spiegato che si sta “consultando per tornare in Afghanistan e combattere per la sovranità. Tornerò presto”.

Ghani ha anche aggiunto di esser stato costretto a fuggire “dai suoi servizi servizi di sicurezza, lasciando dietro di sé i suoi principali beni e “documenti riservati”. L’ex presidente ha quindi smentito l’accusa di aver rubato 169 milioni di dollari dalle casse dello Stato prima della sua partenza, accuse definite “diffamanti per la mia persona”.

LE RIVOLTE – A tre giorni dalla conquista di Kabul da parte dei Talebani si sono registrati oggi nel Paese i primi scontri e le prime rivolte. 

Sede della rivolta la città di Jalalabad, quinta città dell’Afghanistan, situata a circa 150 chilometri a est di Kabul vicino al confine con il Pakistan. Qui secondo un testimone oculare citato da Sky Tg24 ci sarebbero almeno 35 morti per gli spari dei miliziani talebani contro la folla. “Oggi il popolo che abita nella provincia afgana chiamata Nangarhar è uscito in strada con le vecchie bandiere dell’Afghanistan. Per fermarli, i talebani hanno sparato e ammazzato trentacinque persone”, ha riferito il testimone. 

Scontri nati dopo che una consiste parte della popolazione è scesa in strada sventolando la sventolando la bandiera afghana, rossa, verde, bianca e nera, contro quella dei talebani che era stata esposta su uno degli edifici di via Pashtunistan.

Almeno 17 persone sono rimaste ferite invece nella calca all’aeroporto di Kabul, in Afghanistan. Lo riporta un funzionario della sicurezza della Nato, citato da Al-Jazeera, mentre sono in corso le evacuazioni da parte dei Paesi occidentali. Ai civili afghani, che cercavano di partire dopo la conquista della capitale afghana da parte dei talebani domenica, era stato detto di non radunarsi nella zona dell’aeroporto a meno che non avessero un passaporto e un visto per viaggiare, ha riferito il funzionario, che lavorava allo scalo. Il funzionario, che è rimasto anonimo, ha affermato di non avere ricevuto alcuna segnalazione di violenze da parte dei talebani fuori dall’aeroporto.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia