L'editoriale
Sharon Verzeni, quel razzismo da liceali e la miseria della politica sulla scena di un femminicidio
Benvenuti nell’eterno strapaese dove è sempre tempo di sceneggiate sul nulla, dove le più grandi vicende in un lampo diventano pretesti per il più piccolo cabotaggio, in questo caso un affrettato razzismo da liceali che si sono rasati sia i capelli sia il pensiero.
Ad un qualsiasi esame di giornalismo, la notizia del giorno sarebbe questa: “Due stranieri regolari, con alto senso civico, vanno dalla polizia e permettono di identificare l’assassino italiano di una ragazza innocente. Non ci sono moventi religiosi o politici. Con tutta probabilità, l’autore dell’omicidio è un malato psichiatrico”.
Ad un esame di giornalismo, ma anche ad un esame di politica. Che invece preferisce alludere al colore della pelle dell’omicida e quindi spinge la Lega a ironizzare sui ‘nuovi italiani’, e la sinistra, con riflesso condizionato, a tirare fuori la narrativa del maschio bianco per vocazione oppressore della donna. Ma la politica dovrebbe essere in primo luogo rispetto delle persone. Del dolore infinito di una famiglia, ad esempio, che non va scaraventato nella piazza mediatica con illazioni e manovre di parte. Usare una ragazza di 33 anni massacrata per mandare un segnale a Tajani? O per battere sul tempo Roberto Vannacci? La politica, poi, è rispetto dei cittadini, che vogliono risposte sulle guerre, l’economia, le disparità fra Nord e Sud, i diritti e i doveri.
E dovrebbe avere anche rispetto di sé stessa. Senza scomodare De Gasperi, Brandt, Khol o Craxi, basti pensare che in nessun paese d’Europa potrebbe immaginarsi uno spettacolo così misero sulla scena caldissima di un femminicidio. O meglio, potrebbero stimolarlo solo partiti fuori dai governi e dalle decisioni che contano. Quelle su cui si dovrebbe discutere e magari dividersi, per poi ritrovarsi uniti e silenti al funerale di Sharon Verzeni.
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