Nella scuola sono ripartite le polemiche sui test Invalsi, le prove standardizzate (uguali per tutti) di italiano, matematica e inglese, alle quali sono sottoposti ogni anno studenti e studentesse in II e V primaria, III secondaria di I grado, II e V secondaria di II grado. L’occasione è stata la decisione del Governo, con il recente decreto PNRR ter, di inserire obbligatoriamente gli esiti individuali dei test nel cosiddetto Curriculum dello studente, che da quest’anno sarà allegato al diploma di maturità. Introdotto dalla Buona scuola del governo Renzi, il Curriculum descrive tutto il percorso di istruzione svolto dallo studente, per aiutarne l’orientamento verso l’Università e il mondo del lavoro. Potrà anche servire a un potenziale datore di lavoro che voglia farsi un’idea più precisa delle conoscenze e competenze del candidato.

L’ostilità storica

Anche se previsto dalla legge, finora le rilevazioni Invalsi non erano mai state incluse nel documento. L’ostilità del mondo della scuola alla pubblicazione dei risultati nasce da due ragioni. La prima è che i test non sarebbero uno strumento adeguato a misurare gli apprendimenti individuali; al massimo – si sostiene – possono mettere in luce alcune caratteristiche del sistema scolastico nel suo insieme. In realtà, dopo oltre vent’anni di applicazione e analisi da parte dell’Invalsi, non vi è motivo di ritenere che le prove non siano in grado di valutare il livello di conoscenza dei singoli studenti. Certo, come in ogni prova possono esserci fattori che portano gli allievi a rendere al di sotto del loro potenziale, ma se si mette in fila tutta la carriera scolastica è verosimile che ci si possa fare un’idea abbastanza precisa delle conoscenze maturate. La seconda ragione per cui una parte importante della scuola si è sempre opposta al fatto che i test siano resi noti al di fuori delle sue mura è il timore di un giudizio sommario sulle capacità degli studenti, che non tenga conto del background sociale e culturale di provenienza.

Il progresso nella carriera scolastica

In generale, credo che la strada di non rivelare le informazioni, anziché spiegarle, sia sbagliata, perché induce l’osservatore esterno a formulare un’opinione – che comunque si farà – su percezioni arbitrarie, anziché su dati oggettivi. In ogni caso, oggi le rilevazioni dell’Invalsi permettono di misurare il progresso di ciascun studente nell’arco di tutta la carriera, tenendo in conto le condizioni di partenza: misure che sarebbe auspicabile inserire nel curriculum, insieme al resoconto del percorso svolto da parte degli insegnanti. Di fronte a questa opposizione, i vari ministri – e lo stesso Invalsi – hanno preferito non solleticare la reazione delle scuole, temendo boicottaggi o “taroccamenti” (cheating) da parte degli studenti o dei docenti stessi. Per fortuna, a partire dal 2019, le prove si tengono al computer, senza alcuna possibilità di modificarne gli esiti; inoltre senza la partecipazione al test non si può sostenere l’esame di maturità. Oggi è dunque possibile applicare in pieno la legge. Ma la vera novità di questa misura è avviare a un inesorabile tramonto l’attuale esame di maturità, che sebbene celebrato ogni anno da articoli e film rievocativi è ormai un esercizio futile. Non è selettivo: il 99,5% dei candidati lo supera. Non è oggettivo: come sappiamo, ogni commissione applica i propri criteri di giudizio, con il risultato paradossale che i voti di maturità al Sud sono nettamente più elevati che al Nord, laddove ogni prova standardizzata nazionale e internazionale dice il contrario. Soprattutto, non fornisce informazioni utili al potenziale datore di lavoro o all’università che si vuole frequentare: tant’è che queste ultime hanno rinunciato da anni a tener conto del voto di maturità ed effettuano propri test di ingresso. Se, come avviene in molti paesi, alla maturità sostituissimo un insieme di prove standardizzate in alcune discipline di base, unite a prove corrette centralmente in altre, aumentandone l’oggettività, l’esame finale ritornerebbe a fornire informazioni affidabili, in primo luogo allo studente, in vista di ciò che farà dopo.

Andrea Gavosto

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