Nel Si&No del Riformista spazio alla tassa di successione: è giusta come imposta? Favorevole l’imprenditore Riccardo Monti (amministratore delegato Triboo Spa) secondo cui tassa di successione “per non rafforzare il privilegio di chi ha già rispetto a chi non ha“. Contrario l’economista Riccardo Puglisi che spiega: “Presenta diversi svantaggi ed è inefficiente”.

Qui l’articolo di Riccardo Monti: 

Il sistema fiscale italiano è certamente molto pesante, con un “total tax rate” (ammontare complessivo delle tasse e dei contributi che le imprese pagano) attorno al 60%. Decisamente molto alto, soprattutto in relazione alla qualità media dei servizi erogati ai cittadini (specialmente al Sud). Ed è, per molti aspetti, anche disfunzionale e iniquo. La più macroscopica ed evidente di queste distorsioni è la drammatica sproporzione di trattamento tra il lavoro, penalizzando in modo evidente le attività che generano sviluppo e occupazione, e la rendita, in tutte le sue forme.

Questo fenomeno non può che peggiorare con il rapido invecchiamento della popolazione, imponendo dei correttivi. Possibilmente correttivi rapidi, in grado di attivarsi anche prima di un eventuale complessivo riordino, che per esperienza potrebbe richiedere molti anni. L’eccellente articolo di Enzo Manes sul Riformista dei giorni scorsi ha acceso il faro su una delle anomalie più evidenti, la sostanziale assenza in Italia di imposte di successione. Le aliquote sono una frazione di quelle degli altri paesi europei. Sfido chiunque a dire che sia più giusto prelevare il 30 o il 40% su uno stipendio, relativo al duro lavoro di una persona che produce ricchezza ogni giorno, rispetto a prelevare il 4% sul lascito di un parente magari lontano, rispetto al quale chi lo riceve non ha fatto nessuno sforzo e non ha alcun merito. Questa è la situazione ad oggi.

Posso affermare che nessuno ami le tasse, e nella mia esperienza di imprenditore e di manager ho sempre visto come una fiscalità leggera e trasparente rappresenti un forte fattore di attrazione, verso i paesi più virtuosi, di investimenti, occupazione e iniziative imprenditoriali. Allargando il quadro, non possiamo non ricordare come negli ultimi trent’anni Italia sia stata in assoluto e di gran lunga, la peggior economia tra i 38 paesi del OECD. Siamo l’unico paese del mondo sviluppato che ha gli stipendi reali fermi dal 1990. Una performance che definire disastrosa è un eufemismo. La produttività stagnante, il già citato invecchiamento della popolazione e questi meccanismi fiscali, fanno sì che la ricchezza sia sempre meno prodotta e sempre più passata, in famiglia, da una generazione ad una altra. Quanto di più iniquo si possa pensare, con un sistema di istruzione pubblica che aggrava questa situazione, contribuendo ad un sostanziale blocco del cosiddetto “ascensore sociale”.
In questo sistema sclerotizzato, l’assenza di tasse di successione non fa che prolungare e rafforzare il privilegio di chi ha già rispetto a chi non ha.
So bene che, da un punto di vista politico, questo tema sia piuttosto “tossico”, ma in un contesto di risorse scarse e di declino economico bisogna provare a fare qualcosa e rapidamente.

Tra l’altro la pressione inflazionistica sta ulteriormente aggravando il problema della drammatica povertà degli stipendi netti in Italia. Tornando all’esempio di prima, a partire da uno stipendio di 50.000 euro lordi si sconta una aliquota del 43%. In una grande città italiana, con uno stipendio netto del genere, non si vive certo largheggiando.
Data la grande quantità di ricchezza che ogni anno viene coinvolta nei processi di successione, circa 250 Miliardi di Euro all’anno – secondo i dati dell’articolo di Manes. Parliamo, quindi, di un tema rilevante e non “simbolico”.
Sono certo che, valutando con serenità i fatti ed i numeri, la proposta di Manes di aumentare le aliquote per le successioni (che non coinvolgano i figli) con la automatica allocazione del gettito aggiuntivo alla riduzione delle tasse sul lavoro, sarebbe assolutamente in grado di generare il consenso necessario. Aggiungo, guardando fuori dei nostri confini, che molti tra gli uomini più ricchi del Mondo hanno aderito al patto, lanciato da Bill Gates, di donare dal 80 al 95% del loro patrimonio a cause filantropiche. Lo fanno ritenendo intrinsecamente ingiusto e diseducativo che dei figli debbano ritrovarsi patrimoni immensi senza in qualche modo esserseli “meritati”. Ovvio che questo tema riguarda solo qualche migliaio di persone al mondo, ma è indicativo del bisogno di recuperare un senso di equità rispetto alla ricchezza che ha un sapore completamente diverso se creata e guadagnata rispetto ad essere semplicemente ereditata. Ed è proprio la ricerca di un minimo di equità che dovrebbe spingere il legislatore italiano a non accettare l’idea che la ricchezza sia un privilegio famigliare, e non il risultato di capacità e determinazione personale.

Riccardo Monti

Autore