Ieri è stata la giornata internazionale della libertà di stampa. La censura ha sempre risparmiato i corvi e tormentato le colombe. Quanti corvi e quante colombe ci siano tra i magistrati non spetta a me dirlo, ma di certo, alla luce del caso Palamara e delle ultime vicende, un cospicuo numero di entrambe le categorie deve pur esserci. In ogni dappertutto, peraltro, esistono i “buoni” e i “cattivi”. Questi ultimi, con la “scoperta” (o l’emersione, che dir si voglia) del “sistema Palamara”, pensavano (o avranno pensato) di mettere a posto la loro coscienza e – perché no – qualche magagna di “affiliazione” all’ex pm.
Strani misteri, al punto che non c’è solo il tentativo di stoppare chi intende riportare correttamente la verità dei fatti – i giornalisti, per l’appunto – ma anche il “bavaglio” (anzi le “mani legate”) a chi cerca di istituire la Commissione parlamentare di inchiesta e di “raccontare” nitidamente cosa sia successo in questi anni e quanto accada tuttora nelle aule dei Tribunali. Come se fosse, per capirci, un vero e proprio triangolo “perverso”, con i lati costituiti da certa stampa e certa politica e una base, lo zoccolo duro, formato da determinati pm e giudici.
L’alternativa alla Commissione? Probabilmente l’autoscioglimento del Csm, ma appaiono peregrini il pensiero e l’opzione di mandare a casa quei componenti del “governo autonomo della magistratura italiana ordinaria” che spesso “vedono”, sovente ignorano e talvolta si girano dall’altra parte. Il caso Amara docet.  Senza questo scatto di orgoglio, ecco che la Commissione resta un faro e un baluardo della democrazia, lo strumento decisivo per comprendere la crisi della giustizia, in attesa di una riforma vera. Palamara non sarà certo un santo, ma nemmeno il demonio come si è sbrigativamente voluto far credere. Non a caso le carte che stanno venendo fuori dimostrano che c’è dell’altro e che il “mostro” ha più teste e testine.

Luigi Labruna, su Repubblica di ieri, ha cercato di bacchettarmi sostenendo che la Commissione di inchiesta non serve a nulla. È inutile. Labruna sbaglia e pesantemente. La Commissione contribuirebbe a “studiare” e debellare quello che lui stesso definisce «lercio groviglio Csm-corvi-politica» (e, aggiungerei, avvocati pentiti). È questo il punto: mancano atti e documenti, a eccezione di quelli che spesso marciscono proprio nei bagni dei tribunali o giacciono inevasi nelle scrivanie dei magistrati, per capire gli errori e coprire altri insabbiamenti (il caso Davigo docet due volte) e storture.

Dicevo che ieri si è celebrata la giornata della libertà di stampa: i professionisti dell’informazione sono sempre più vittime di pressioni finanziarie e politiche. E di certo non “brillano” i rapporti con settori della magistratura. E se si istituisse la giornata della giustizia? I giornalisti sono chiamati a un’informazione costruttiva: scrivere notizie senza sensazionalismo, polemiche, “bufale” che aiutino le persone a comprendere gli atti e i fatti. La giustizia giusta non avrà mai nulla da temere. È evidente che, ormai da molto tempo, l’intero sistema giudiziario italiano è gravemente malato. Il corpo dell’ordine giudiziario è invaso da pericolose metastasi. L’unico che può curarlo è il detentore della sovranità popolare (e questo non lo dico io, ma lo afferma a chiare lettere la Costituzione italiana), cioè il Parlamento. Lasciamolo lavorare dando vita a una Commissione di inchiesta che sia effettivamente bipartisan e non, come sembra, appannaggio esclusivo del Partito democratico e di Liberi e Uguali (Stefano Ceccanti e Federico Conte sarebbero i relatori).

Concludo dicendo che è altamente significativo che la forte e convinta richiesta di una Commissione di inchiesta parlamentare sia partita da Napoli, attraverso Polo Sud: le adesioni hanno superato quota 3mila e 500 in soli sette giorni). Nella nostra città, infatti, il numero di errori giudiziari è altissimo, come il Riformista ha puntualmente segnalato nei giorni scorsi, e la magistratura non ha sempre offerto una buona prova di sé. Ma questo è un altro capitolo che presto affronteremo.