Si è riaccesa la protesta in Iran. A 40 giorni dall’esecuzione, tramite impiccagione, di due manifestanti la protesta è tornata in piazza ieri sera e nella notte a Teheran, Arak, Isfahan, Izeh nella provincia del Khuzestan e Karaj. Da settimane non si vedevano manifestazioni così partecipate: le proteste erano esplose a metà settembre dopo la morte della 22enne Mahsa Amini – fermata dalla polizia morale perché indossava scorrettamente il velo obbligatorio e morta mentre era sotto la custodia delle forze di polizia – e avevano avuto larga attenzione internazionale, ancora maggiore durante i Mondiali di Calcio in Qatar cui anche la Nazionale iraniana ha partecipato.
L’attenzione sulle tensioni che attraversano il Paese era scemata nelle ultime settimane, anche per la flessione delle stesse manifestazioni causata dalla repressione. La notte scorsa di nuovo ci sono state manifestazioni anti-governative nella provincia del Sistan-Baluchistan, come ogni venerdì. E come sempre, ad accompagnare la protesta, le grida dei manifestanti contro il leader della Repubblica Islamica Ali Khamenei. A Zahedan i dimostranti hanno chiesto la liberazione dei detenuti politici.
Sui social hanno preso a circolare video, che l’Associated Press non ha potuto verificare immediatamente anche perché sgranati. BBC Persian fa notare come i manifestanti abbiano imparato a girare i video che condividono online senza inquadrare i loro volti, per prevenire il riconoscimento da parte delle forze di polizia. I video condivisi online dall’organizzazione Hengaw per i diritti umani mostrano blocchi stradali in fiamme a Sanandaj. Hengaw ha condiviso un video che includeva voci alterate digitalmente che gridavano: “Morte al dittatore!”. Altre immagini inquadrano la polizia in assetto antisommossa in strada.
Le commemorazioni a quaranta giorni per i morti sono comuni in Iran: Mohammad Mahdi Karami, campione di karate iraniano-curdo, e Seyyed Mohammad Hosseini, attivo nel volontariato per aiutare bambini in difficoltà, sono stati accusati di aver ucciso il paramilitare Seyed Ruhollah Ajamian, membro della forza Basij, a Karaj lo scorso 3 novembre. E per quest’accusa erano stati impiccati. Erano entrambi ventenni. Secondo attivisti e organizzazioni umanitarie, prima dell’esecuzione avevano trascorso settimane nel braccio della morte.
Stando ai rapporti dell’agenzia degli attivisti dei diritti umani iraniani Hrana, dall’inizio delle proteste sono morte almeno 529 persone, di cui 71 minori e 70 membri delle forze di sicurezza, e quasi 20mila sono state arrestate. La linea di Teheran sulle manifestazioni più partecipate e imponenti dalla nascita della Repubblica Islamica, dopo la rivoluzione del 1979, è quella del complotto occidentale ai danni dello Stato. Il rial intanto è crollato ai nuovi minimi rispetto al dollaro americano. Resta alta la tensione sull’agenda nucleare: l’Iran continua ad arricchire l’uranio, più vicino che mai a livelli di qualità per le armi, dopo che l’accordo sul nucleare è saltato.