Cara Tiziana,
quei primi anni al Giornale con Belpietro direttore mi hanno lasciato un ricordo magnifico. Si poteva sparare a palle incatenate contro tutte le balle storiche che erano state diffuse e protette dal vecchio Pci anche quando cercava di sembrare liberal ma non ce la faceva. Tuttavia i rapporti con i più intelligenti fra gli ex comunisti erano onesti e puntuti proprio perché era nata una generazione di gente di sinistra che scriveva sui giornali di destra con una franchezza bruciante ma anche tollerante: niente sconti. Finora avete potuto intortare i poco elastici giornalisti di destra perché vi siete approfittati dei loro tic. Adesso venitevela a vedere con noi da pari a pari. Era rissa, dita negli occhi, colpi sotto la cintura e le famose lacrime e sangue.

Scrivevo di tutto e in modo accesamente liberale e Berlusconi usava volentieri pezzi dei miei editoriali nei suoi discorsi. Quando mi propose di darci del tu, gli chiesi per quale motivo, possedendo un grande quotidiano come il Giornale, un settimanale di successo come Panorama e tre reti televisive come Mediaset, da questo colosso non spuntasse l’ombra di una linea politica liberale, in senso ideale, non partitico: creare un’area franca e libera contro le balle e i luoghi comuni che imperversavano come imperversano. E mi appassionai sicché ricordo che Silvio mi cominciò a guardare con un’attenta curiosità rovinata da quel suo sorriso ironico che voleva dire: “non se ne fa niente”. E me lo disse. Mi dette la stessa risposta che mi aveva dato Gianni Agnelli quando chiesi al presidente della Fiat – mentre mi accompagnava all’ascensore della sua magnifica casa sul Quirinale con il quadro di Balla sulla Marcia su Roma che attraversava di sbieco il salotto -, che mi rispose: “La gestione delle pagine culturali della stampa va affidata agli intellettuali comunisti sia perché sono i più bravi, sia perché devo trattare con i sindacati e ho bisogno di un partito comunista amichevole”.

Silvio Berlusconi fu altrettanto pratico: “Le mie reti e i miei giornali vivono grazie alla pubblicità e non posso permettermi di alienarmi nessuna fetta dell’elettorato che poi va al supermercato e compra i prodotti di cui ha visto la réclame sulle mie reti”. Del Resto, Massimo D’Alema presidente del Consiglio dimostrò di apprezzare questa valutazione puramente industriale andando in visita ufficiale negli stabilimenti di Mediaset, e fu certamente un momento in cui Silvio e Massimo si trovarono in grande sintonia: “D’Alema forse non sarà simpatico, diceva Berlusconi, ma è sempre cortesissimo”. E D’Alema: “Tutto mi divide da Berlusconi, ma riconosco che sa mettere a loro agio gli ospiti”. Con Maurizio Belpietro per me quelli furono anni di piacere e libertà. Maurizio mi chiedeva spesso l’articolo di fondo e andavamo perfettamente d’accordo. Inventai un neologismo di cui vado fiero: il “benaltrismo”. Avete presente? “Ben altri sono i problemi, ben altro è il compito che ci attende”. Ben altro per dire non faremo mai ciò che occorre perché ben altro richiede la nostra inutile presenza. Poi, diciamo così, la catastrofe.

Uscì il libro “Il Dossier Mitrokhin” scritto in Inghilterra dopo la caduta dell’Urss da un vecchio e archivista del Kgb, Vasilij Mitrokhin che portò tutto il suo schedario di agenti russi in Inghilterra dove, assistito dallo storico Christopher Andrew ricompose nomi e cognomi della penetrazione sovietica in tutti i paesi. Fu scambiato per un libro di spionaggio, ma quel dossier non parlava tanto di spie che rubano il progetto di un sottomarino dopo aver sedotto una segretaria. Era e rimase un manuale della penetrazione in tutti i settori di ogni Stato i cui protagonisti non erano solo le povere spie, ma il sistema con cui il mondo russo aveva impiantato in ogni altro paese, uomini che rispondevano agli interessi russi. E si assisteva soltanto in Italia ad un inaspettato parapiglia nell’area del vecchio Pci. Io scrivevo e scoprivo e mostravo una spaccatura nella sinistra che non si è mai ricomposta.

Ho già raccontato che Berlusconi mi chiese se mi interessasse presiedere la Commissione d’inchiesta, auspicata da tutti i partiti, sicché mi trovai senatore delle Repubblica e presidente della Commissione, proprio mentre Berlusconi inaugurava la politica di Pratica di Mare in cui lui si dichiarava protagonista della fine della guerra fredda, unendo insieme alle sue le mani di Putin e del presidente americano George W. Bush. La mia posizione di “procuratore parlamentare” sulla verità del passato era pallida, già si sentiva perfettamente che quella commissione vacillava.
Quando al caffè della Camera dissi a Berlusconi che il presidente Putin aveva fatto eliminare fisicamente alcuni russi che collaboravano con il Parlamento italiano, mi disse con un candido sorriso: “Se qualcuno mi dicesse che tu, Paolo, fai uccidere i tuoi nemici, mi farebbe lo stesso effetto di Putin che fa uccidere i propri nemici. Credimi, Paolo, conosco bene Vladimir anche come persona e ti giuro che è una persona dolcissima”.

E infatti erano diffuse le foto degli incontri sulla neve di Silvio e Vladimir che giocavano a palle di neve con sorrisi gioiosi. Il capogruppo dei Democratici di sinistra mi prese da parte e disse: “Ma non lo vede che sinistra e destra siamo tutti dalla parte di Putin, e lei, Presidente, si ritrova da solo? Ma lei è matto”. Risposi con alcune banalità ma aveva ragione quel collega. Sapevo che mi avrebbero atteso anni difficilissimi perché sentivo che anche dentro Forza Italia non tutti erano convinti di una linea putiniana, se non nel senso che il giovane – allora – presidente russo – rappresentava un futuro di redditizi investimenti italiani e che non era opportuno rompere troppo le scatole. Io invece, di scatole facevo strage.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.