Le riflessioni dopo Brandizzo
Sicurezza sul lavoro, quell’insegnamento dal passato: quando Brunelleschi realizzò il primo cantiere dell’era moderna
In quei tre lustri di duro lavoro rimasero feriti in sei e perse la vita un solo operaio, Nencino di Chello. Si trattava di norme di sicurezza rudimentali eppure efficaci, supportate da un sostegno alle famiglie dei lavoranti in caso di incidenti
La morte dei cinque operai uccisi da un treno a Brandizzo desta dolore e impressione e riporta in luce una questione che di tanto in tanto riappare: la sicurezza nel mondo del lavoro. Non bastano norme stringenti per affrontarla se il mercato, l’economia di mercato, non si rinnova mettendo al centro l’uomo e non solo profitto e produttività. Non c’è dubbio che una delle ragioni degli incidenti, non Brandizzo per la precisione, sia legata allo sfruttamento della manodopera. La storia è ricca di esempi, antichi e recenti. Tuttavia vi sono stati casi che hanno rappresentato un’eccezione, almeno per quanto riguarda forme di tutela avanzate per il periodo in cui l’opera veniva realizzata.
La costruzione della cupola del Duomo di Firenze, così avveniristica da apparire impossibile, richiese sedici anni di lavoro (1420/36), una struttura in pietra e mattoni, la più grande volta in muratura mai costruita nel mondo. Un formidabile azzardo figlio di un talento impareggiabile, del genio di Filippo Brunelleschi, scultore, architetto, orologiaio, inventore. Brunelleschi fece realizzare, per la sicurezza degli operai e per innalzare al cielo il manufatto, il primo cantiere dell’era moderna, progettato anche grazie alle sue conoscenze di meccanica e fisica. Le impalcature erano dotate di un parapetto per evitare le cadute, cibo e bevande venivano portati in quota, in appositi spazi, perché gli operai non salissero e scendessero continuamente moltiplicando così il rischio di cadute. L’Opera del Duomo pagava i lavoranti per infortuni subiti, i giorni di malattia e le cure necessarie a ristabilirsi. Infine, non tutti gli operai erano obbligati a lavorare in alto. Chi accettava, veniva pagato meglio.
In quei tre lustri di duro lavoro rimasero feriti in sei e perse la vita un solo operaio, Nencino di Chello. Cadde dalle mura del tamburo nel 1422. C’è chi dice che non fosse sobrio. L’Opera si fece carico delle spese del suo funerale. Si trattava di norme di sicurezza rudimentali eppure efficaci, supportate da un sostegno alle famiglie dei lavoranti in caso di incidenti occorsi sul lavoro. Mi sono chiesto se – in regime di economia capitalista – vi sia stato un momento oppure un caso particolare in cui ha preso vita la vertigine consumista, uno dei motivi che ha spinto ad una possente accelerazione della produzione di beni spesso emarginando il fattore sicurezza. Quel momento potrebbe essere stato il giorno di Natale del 1924 quando si riunirono a Ginevra le imprese produttrici di lampade ad incandescenza.
I produttori decisero di togliere tempo di vita alle lampadine. Imposero un limite di 1000 ore (obsolescenza programmata) superato il quale la lampada cessava di funzionare. A testimonianza della differenza col passato basterebbe recarsi nella caserma dei vigili del fuoco di Livermore, in California. Là dentro fa ancora luce una lampada a incandescenza prodotta nel 1912 senza le modifiche apportate a seguito dell’accordo raggiunto dodici anni più tardi. Funziona ancora, eccome se funziona.
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