Economia
Sigarette elettroniche: la governance chiara che l’Unione europea ci invidia
Parla Roccatti, presidente di Anafe Confindustria, l’associazione dei produttori e distributori di sigarette elettroniche

Il percorso degli ultimi 15 anni per il mercato italiano dei liquidi da inalazione, è stato piuttosto complicato e ricco di “stop and go”. Ma a partire dalla riforma fiscale del 2019, con le nuove norme sulla circolazione dei prodotti, si può ben dire che nulla è andato storto.
«Prima di quella data abbiamo assistito a un notevole roller-coaster: c’è stata molta mancanza di dialogo su un prodotto nuovo che a tanti ha fatto paura». A parlare Umberto Roccatti, presidente di Anafe Confindustria, l’associazione dei produttori e distributori di sigarette elettroniche. Dal 2013 fino alla metà del 2018, un forte scontro – alimentato da una tassa che equiparava il liquido da inalazione al tabacco combusto – ha scosso il settore: ma l’obiettivo di fare cassa non venne affatto centrato visto che «in quegli anni lo Stato ha incassato solo 2 milioni di euro sui 117 previsti, fatto fallire 4000 piccole imprese e perso circa 10mila posti di lavoro».
Una débâcle, dunque. In un momento in cui l’Italia era il secondo mercato al mondo dopo gli Stati Uniti e le imprese italiane stavano iniziando ad aprire all’estero». Però, «con la delega fiscale, il mercato è stato normalizzato e si è scelta una tassazione a volume che era gestibile dalla filiera». Il mercato è ripartito e lo Stato all’epoca incassò 20 milioni che «adesso sono diventati 200». Dunque, come tutelare l’erario e contemporaneamente la salute dei consumatori, difendendo le filiere? La risposta è, secondo Roccatti, innanzitutto, «concertazione: non sempre le strategie win win sono implementabili, ma nel nostro caso assolutamente sì».
Negli ultimi 30 anni nessuna istituzione italiana è riuscita a risolvere un problema, prosegue: «Gli 80.000 morti l’anno, causati dal mercato del tabacco combusto». Quindi, da un lato, c’è «un’opportunità sanitaria enorme offerta dai prodotti a rischio ridotto, secondo dati scientificamente provati, e dall’altro, abbiamo un’economia da 1 miliardo di euro, 5mila tra piccole e medie imprese, 70mila posti di lavoro, tra diretti e indiretti». Il modello italiano è visto come virtuoso dagli altri produttori europei grazie alla governance chiara di cui gode. Ed è proprio la «governance che determina la qualità di un mercato: quello che ci invidiano e vogliono copiare». Le previsioni sui dati dell’Agenzia Dogane e Monopoli relativi al 2024 parlano di quasi 250 milioni sul gettito complessivo.
Infine, due proposte di direttive europee – TED e TPD – possono avere un impatto assolutamente rilevante nei prossimi 10 anni ma presentano, secondo Roccatti, alcune criticità. Per esempio, laddove si ipotizza una accisa tripla per i prodotti dal contenuto di nicotina sopra i 15 mg (il limite massimo oggi è pari a 20 mg); oppure la facoltà riconosciuta agli Stati membri, di adottare un’accisa a volume o, alternativamente, a valore (che su un prodotto in cui la componente tecnologica è fortemente integrata sarebbe paragonabile a una tassa sull’hardware); e, ancora, il “flavour ban” che avrebbe l’effetto di «alimentare il mercato di contrabbando, senza garantire risultati rilevanti in termini di protezione dei minori».
Ecco, infine cosa chiede Roccatti: «Togliere l’ideologia dall’azione delle istituzioni italiane ma soprattutto di quelle europee». E guardare alla realtà: e la «realtà suggerisce che nessuno sta risolvendo il problema degli 80.000 morti l’anno. Ci vuole pragmatismo e sposare il rischio ridotto che contribuisce anche all’economia nazionale». L’alternativa? «Perdita certa di gettito e un regalo al mercato nero».
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