Lunedì sera è andata in onda un’altra puntata di Report che sarebbe più corretto chiamare “Miniver” dal Ministero della Verità del predittivo 1984 di Orwell, stracitato certo, ma mai come oggi di evidente attualità. Report si vanta, infatti, di fare giornalismo investigativo, ma utilizzando i soldi pubblici dovrebbe avere come unico scopo quello cercare i fatti, documentati, definitivi, incontrovertibili per presentarli così come sono. Invece Sigfrido Ranucci e la sua squadra selezionano alcuni fatti, spesso non definiti e, se giudiziari, presentati come dogmi anche nell’Italia di Palamara, anche se in fase istruttoria o nei primi gradi di giudizio.
Sulla strage di Bologna hanno mandato in onda il trailer del nuovo “fantasy giudiziario”. Sulle connessioni fra organizzazioni criminali e politica, è chiara l’opera di “character assassination”. È andato in onda il tribunale giacobino di Report/Miniver dal duplice obiettivo: da una parte, lavorare come ufficio stampa di una parte della Procura di Bologna e dell’ex deputato Pd Paolo Bolognesi; dall’altra, ricordare al Partito Democratico che formare il governo di unità nazionale significa andare a braccio col “mafioso” Berlusconi.
A Ranucci va certo la nostra solidarietà per le minacce mafiose di morte, rivelate dal pentito Pennino, ma va anche la totale bocciatura del presunto giornalismo investigativo che definiremo come “giornalismo giustizialista”. Quella dei mandanti è la solita storia trita e ritrita sui servizi segreti deviati e sulla P2: storia che cerca di ribaltare in maniera speculare e contraria la pista, molto circostanziata e documentata in atti, del ruolo della rete Separat di Carlos “lo Sciacallo” e della ritorsione dei palestinesi per i fatti di Ortona con il filo rosso del Lodo Moro e della “santuarizzazione” del nostro territorio. La storia dei mandanti deceduti poi non trova riscontro, con pieghe da romanzo di spionaggio.
I documenti citati da Bolognesi sono stati già smentiti nel dibattimento sul crack del Banco Ambrosiano e rigettati inizialmente da una parte della Procura di Bologna che giustamente persegue la verità giudiziaria e non le tesi precostituite. Ancora una volta, assistiamo alla propagazione di ipotesi investigative sui fondi di Licio Gelli che sarebbero stati utilizzati per finanziare gli autori della strage di Bologna che, date per assodate, si sono, in realtà e al contrario, dimostrate infondate all’attento vaglio in sede processuale come rivelato dal giornalista Massimiliano Mazzanti su Il Secolo d’Italia. Anzi, proprio la versione precedente degli stessi elementi narrati da Report crollò miseramente in aula il 6 febbraio 2019, durante il processo Cavallini, nel corso del quale fu evidente come fosse basata addirittura sulla manomissione interpretativa di una prova documentale. Prima di dare per accertate certe presunte “verità”, sarebbe auspicabile, soprattutto dal servizio radiotelevisivo pubblico, che di certe notizie fosse adeguatamente segnalata la natura controversa e tutt’altro che granitica.
Dopo diversi errori storici e il caso Palamara, non esistono più dogmi giudiziari: il processo sugli esecutori materiali è da rifare, dato che è basato su testimonianze inattendibili come quella di Sparti, smentito anche dal figlio, e dal criminale pluriomicida Izzo.
Lo scorso luglio, inoltre, su Reggio Report è stata pubblicata la notizia, svelata dai giornalisti investigativi, Gian Paolo Pelizzaro e Gabriele Paradisi, che Aldo Gentile, primo giudice istruttore titolare delle indagini sulla strage di Bologna, in un verbale reso nel novembre 2012, dichiarò di conoscere Abu Anzeh Saleh, il cittadino giordano di origini palestinesi responsabile dell’organizzazione clandestina del Fronte popolare per la liberazione della Palestina in Italia. Come mai Saleh, capo della struttura del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina in Italia, aveva contatti continui, anche di carattere personale con regali e incontri, con il giudice istruttore della strage di Bologna?
Report ha taciuto poi sull’unica vera novità emersa dai rilievi peritali, relativi all’ottantaseiesima vittima che abbatte come uno tsunami tutto il castello inquisitorio. Infatti, la prova dei Dna sui resti attribuiti a Maria Fresu, disposta nel dibattimento del processo Cavallini, ha dimostrato che quei poveri resti non erano della donna, ma appartengono a persona giovane e di sesso femminile, che si trovava vicinissima alla fonte dell’esplosione, persona mai reclamata da alcun familiare e tutt’ora sconosciuta.
Il corpo della Fresu risulta dunque scomparso e il reperto facciale a costei attribuito appartiene a persona ignota, non essendo attribuibile per le sue caratteristiche ad alcuna vittima conosciuta. “Ignota 86” è probabilmente la trasportatrice dell’ordigno.
La Presidenza della Camera e del Senato prendano atto che, di fronte le evidenze emerse negli ultimi tempi, fra cui la presenza di passaporti cileni a Bologna, come denunciato in più pezzi da Silvio Leoni su il Secolo d’Italia, le vicende del caso Fresu e le numerose rivelazioni delle commissioni d’inchiesta parlamentari, è necessario fare luce sugli avvenimenti della strage di Bologna e del Lodo Moro.
Il Parlamento si deve attivare e, per questo, chiediamo che venga immediatamente calendarizzata la proposta di legge dell’intergruppo “La verità oltre il segreto” di cui sono fondatore insieme ai colleghi parlamentari Paola Frassinetti e Enzo Raisi che ha lavorato sul tema e scritto anche un libro, composto da maggioranza e opposizione, per la costituzione di una Commissione d’inchiesta sui fatti avvenuti in Italia durante gli anni della Prima Repubblica – fra gli altri, Bologna, Ustica e il sequestro Moro – e sulle connessioni internazionali ad essi collegati.
Ci chiediamo, e lo faremo con un dettagliato question time in Vigilanza Rai, se una trasmissione del servizio pubblico radiotelevisivo, pagata dai contribuenti, di cui il conduttore è vicedirettore di rete senza altre deleghe, possa fare politica, intervenendo in maniera brutale senza alcuna vera novità, censurando i rilievi sulla ottantaseiesima vittima e dando una replica ridicola agli avvocati di Berlusconi sulla vicenda dei rapporti mafiosi.
Sfidiamo Ranucci a invitare in studio l’avvocato Valerio Cutonilli e gli altri giornalisti investigativi e consulenti che negli anni hanno lavorato su questo e i periti di parte che più di tutti hanno studiato la vicenda. Anche noi siamo pronti al confronto. Siamo cercatori di verità.
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