Disintermediazione, credibilità e celebrità: l'ascensore che il Cav non ha preso
Silvio Berlusconi era un social leader perché ribaltava la piramide delle piattaforme
La rubrica “Social spin” di Domenico Giordano, spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore
Questo è un numero speciale e monotematico della rubrica. Ovviamente, non poteva che essere dedicato a Silvio Berlusconi e, nello specifico, al rapporto che il Biscione, uomo e simbolo della televisione commerciale in Italia, ha intrattenuto con la rete e con i social network. Lunedì scorso, Antonio Palmieri, che dal 1995 ha pensato, guidato e coordinato la comunicazione politica e quella online di Forza Italia, in un’intervista alla Stampa, ha precisato come il Cavaliere “ha usato i social come leader e non come un follower. Ha imposto su tutti i canali i propri canoni comunicativi, non ha mai accettato di replicare un modello solo perché funzionava meglio sui social, Silvio era un leader. E lui teneva al fatto di sapere da sé quello che doveva condividere con il proprio popolo”.
Il ragionamento fatto da Palmieri, per quanto non faccia una piega e sia anche pienamente condivisibile, forse difetta proprio per i limiti di spazio di un’intervista e non di meno considerata l’emotività del momento, di una ulteriore motivazione. Per nulla secondaria. Anzi, una concausa che aiuta a comprendere bene e meglio perché il Biscione non si sia mai stato un follower, anche perché a differenza dei molti non ne aveva affatto bisogno. Se pensiamo alle piattaforme social e alla scalabilità che hanno garantito a tanti, potremmo disegnare una piramide fatta di tre grandi blocchi: alla base c’è la disintermediazione, che nel tempo consente l’approdo alla dimensione della credibilità, secondo blocco, e infine, acquisita la reputazione si passa allo stadio finale, quello della celebrità che significa poi audience.
Disintermediazione, credibilità e celebrità ovviamente non sono tre gradini scalabili meccanicamente, più del novanta per cento degli utenti iscritti alle piattaforme rimarranno per sempre dei follower e non saliranno mai nell’olimpo degli influencer con fandom milionari. Ma, ad ogni buon conto, questo è l’ascensore che tutti ambiscono a prendere a cominciare propri dai politici. Costoro si sono catapultati sui social provando a sfruttare l’intrinseca capacità di disintermediazione per conquistare con la credibilità acquisita la fiducia degli altri follower e, in ultimo, la loro attenzione mediante la capacità di generare audience. A Silvio Berlusconi, invece, così come a pochi altri leader, tutto questo non interessava perché erano e si consegnavano alle piattaforme già da celebrity affermate, con una vasta platea di fan e follower pronta a seguirlo nelle piazze, nei teatri, nelle urne e, naturalmente, nell’info-sfera digitale.
La piramide dei social Berlusconi l’aveva già scalata, per questo a lui non serviva essere un follower, legarsi al sentiment, ai trend topic, alle polarizzazioni. A riprova, ci sono almeno due esempi che vanno citati. Il primo è relativo al video d’esordio postato per il lancio dell’account su TikTok lo scorso primo agosto: in poche ore quel video ottiene milioni di visualizzazioni e in pochi giorni l’account incassa mezzo milione di follower. Il secondo, invece, è recente. In questi ultimi tre giorni successivi alla notizia della scomparsa, diffusasi nella prima mattinata di lunedì 11 giugno, i quattro account social di Silvio Berlusconi hanno fatto registrare un incremento complessivo di circa 40 nuovi follower. Una crescita che è da interpretare di certo come una dimostrazione di vicinanza, ma dall’altra è anche il sintomo di quanto la dimensione della celebrità fosse per noi italiani diventata consustanziale alla figura di Silvio Berlusconi. In questi casi, con Silvio così come con altri leader, ovvero quando la dimensione della celebrità approda sulla piattaforma, anche il dominio dell’algoritmo è costretto a scendere a compressi con le scelte dei follower.
© Riproduzione riservata