"Lavorate con me, non per me"
Silvio Berlusconi, le vecchiette di Arcore e l’essere figlio del popolo: piango come un bambino

“Andrea, è molto bello il rapporto di armonia che hai con la tua fidanzata, si vede che siete complici. Ma non la trascurare mai, ricordati sempre un’attenzione per lei”.
Non saprò scrivere, oggi. Ho 47 anni e piango come un bambino. Avrei troppo da raccontare, per far capire a chi non lo abbia conosciuto, chi fosse Silvio Berlusconi, e quanto sia io stato fortunato ad averlo come maestro. Non solo di politica, ma soprattutto di vita.
Quella raccomandazione, cosi amichevole, me la fece che eravamo in macchina insieme, reduci da una diretta televisiva in cui lo avevo accompagnato come Responsabile della Comunicazione tv; il “Pres.” commentava la cena della sera prima, in cui io e la mia fidanzata del tempo eravamo stati suoi ospiti a Palazzo Grazioli. Ore piacevolissime, al termine di una giornata di lavoro, a parlare di tutto e alternare considerazioni serie e risate che “pulivano la mente alla fine di una giornata dura”, come diceva sempre lui. Per me Silvio Berlusconi è stato questo. Un padre politico che mi ha accolto in casa sua come un figlio, che mi ha ospitato, offerto consigli, raccolto miei dubbi, confidenze personali, e sfoghi. E che ieri se ne è andato, lasciando l’Italia più povera perché orfana del suo immenso talento e della sua sconfinata umanità, e portando con sé anche un pezzo della mia vita, della mia storia.
Ho avuto l’onore di lavorare con lui tre anni, gomito a gomito, dal 2015 al 2018; di condividerci molto, ragionarci tanto, imparare moltissimo. Ogni volta che partivo, specie per l’America, lui mi chiamava alle sue 10 di mattina, cioè le mie 4 di notte. Era curioso di sapere cosa facessi. Io raccontavo, in dormiveglia, poi tornato da lui finivo il resoconto, c’erano tante risate e un desiderio di circostanza: “Un giorno faremo un viaggio insieme e ci divertiremo un sacco”. Mai stato così bene con nessuno come con lui. E non starci più è la cosa che più mi è mancata della politica, dopo esserne uscito nel 2022.
Mi aveva messo a mio agio sin dal primo momento del mio approdo nel suo staff, in cui io ero quello che colorava di birichinate la giornata di lavoro altrimenti troppo seriosa (prima fra tutte quando, sceso a Milanello dal lato sbagliato del suo elicottero, la scorta mi salvò dalle pale, ancora in movimento, dell’elicottero stesso). Silvio Berlusconi era serio ma non serioso, alla mano, ed educato nel senso etimologico del termine: che avesse a che fare col principe, col grande capitano d’azienda, o con una qualsiasi persona umile, lui trattava tutti allo stesso modo: bene.
Grande ammiratore del talento altrui, persino quello dei suoi critici o avversari, era incuriosito dell’altrui allegria, brillantezza, humor; non dal censo, tantomeno dall’estrazione sociale. Arrivo ad Arcore di venerdì. Primo giorno di lavoro. E trovo in fila una decina di vecchiette. Entrato in segreteria, chiedo alle meravigliose segretarie chi fossero quelle signore. “Andrea, sono le vecchine del Presidente…”. Sgrano gli occhi. “Non se la passano benissimo, e allora il Presidente, ogni venerdì, lascia loro dei soldi per andare in boutique e dal parrucchiere a farsi belle per il week end”, mi spiegano.
Questo era Silvio Berlusconi, entusiasta figlio del popolo, che amava il popolo, con cui cercava il contatto fino a costringere la scorta a rincorse disperate. Un uomo che, dal nulla, aveva costruito una realtà per sé e migliaia di famiglie dei dipendenti assunti nel corso degli anni, solo grazie alla forza delle sue idee, al suo essere visionario e ottimista, ma anche immensamente umile e volenteroso. Quante volte scovavo il Dottore (questo, in realtà, l’unico titolo cui veramente teneva, secondo me) intento a rileggere quanto avrebbe dovuto dire, a studiare qualcosa che ritenesse di non sapere come avrebbe dovuto; mai sentito chiedere qualcosa senza aggiungere “per favore” (“Lavorate con me, non per me”).
Inutile ricordare quanto abbia rivoluzionato il costume italiano con Mediaset, aprendo a una libertà di costume altrimenti negata dal bigottismo della Rai monopolista; nell’edilizia, nell’urbanistica, o nel calcio, facendo del Milan la sua creatura prediletta per mentalità, spettacolarità ed efficacia. Se ne va un mio amico, cui ho voluto bene e che me ne ha voluto, un uomo geniale cui ho chiesto consiglio e con cui mi sono confidato anche in momenti difficili della mia vita, ricevendo sempre premura e comprensione affatto scontate.
Quanto alla politica, la vita di Silvio Berlusconi è stata il massimo, e ben più che politica. È stata la vittoria sul comunismo, il diritto di ognuno di noi a più libertà e sicurezza; soci – e non più sudditi – di uno Stato che ci deve considerare rispettabili, e non più solo bancomat da spremere, indisciplinati da educare, o talentuosi da imbrigliare. È stata “Meno tasse” che non è più un capriccio, ma una richiesta legittima; la “libertà” di migliorare la propria condizione un diritto per tutti, e non più una pretesa di avidità riservata a pochi. È stata la casa come sacro baricentro della famiglia; le imprese come luogo dove creare e condividere progetti di lavoro e vita, non più teatro di scontro tra classi sociali l’una contro l’altra (a volte anche armate); il lavoro come priorità concreta con cui realizzare desideri e ricercare la felicità, e non uno slogan antagonista e vuoto da piazza comunista; la difesa di pensioni e risparmio come riconoscimento per gli sforzi di una vita.
È stata la giustizia garantista, ché meglio un colpevole fuori di un innocente dentro, anziché il dominio di qualche Pm potente, moralista e fanatico e della sua cultura del sospetto; il “Viva le nostre Forze Armate e dell’ordine” mentre una certa sinistra in piazza gridava “Dieci, cento, mille Nassiriya”; la standing ovation da pelle d’oca al Congresso Usa mentre dice “Grazie” all’America che a suon di giovani morti ci aveva liberato da un futuro altrimenti di certo dittatoriale. È stata la dignità della concretezza contro la supponenza dell’ideologia. Quella del privato e non solo del pubblico. Il trionfo del fare sul chiacchierare. Ma anche la fine dello status quo della politica: prima circolo chiuso, sempre gli stessi notabili, professionisti di un improduttivo teatrino. Dal 27 marzo 1994 invece, benvenuto a lavoratori e protagonisti dell’Italia reale. È stata l’immenso Antonio Martino, con cui si starà; già sbellicando dalle risate, lassù, e i brillantissimi Lucio Colletti, Giuliano Ferrara, Giulio Tremonti, Renato Brunetta, Maurizio Sacconi, e tantissimi altri che dichiararono guerra a una cappa culturale di sinistra e insopportabile, per issare la bandiera spavalda dell’italianità del fare che pretendeva semplicità ed efficienza, e uno Stato che facesse meno cose ma le facesse meglio. Mai snob, Silvio Berlusconi: mai odiato nessuno.
Valutare, non giudicare. Convincere, non comandare. Sempre in campo con due punte e una mezzapunta, zero catenaccio. Avversari sì, nemici mai. Sempre tutti italiani. È stata i programmi elettorali da sottoporre -prima del voto, e non dopo- a noi, popolo sovrano: le promesse come cose concrete da fare; gli elettori come italiani veri, da rispettare, non sudditi scemi da dirigere. Ma anche i governi non più sorprese a scatola chiusa; i contratti con gli italiani, e non tra partiti, sulla pelle della gente. È stata le donne in politica, più brave e forti del pregiudizio invidioso di un’eventuale bellezza. Se io mi sono appassionato alla politica è stato solo grazie a questo straordinario italiano vero, che si è fatto da solo, che si è indignato, in doppiopetto, per quanto la sua Italia poteva fare di meglio e non faceva. E so che è stata dura: tante sofferenze, le Torri Gemelle, la Grande Crisi internazionale, qualche vergogna consumata in qualche tribunale e più di uno sgambetto da miopi boiardi in qualche Palazzo. Ma tutto questo progresso culturale oggi è patrimonio acquisito, comune, di tutti noi. Persino di chi non lo ha mai votato. Non aspettatevi da me parole sul futuro di Forza Italia. Ho un’idea ben chiara, da tempo, al riguardo. Ma anche solo parlarne, oggi, sarebbe blasfemo. Perdiamo tutti un padre. È il momento del dolore, del lutto, dei ricordi belli. Poi tornerà quello del sorriso, che è come Il Presidente ci vorrebbe da lassù, guardandoci oggi orfani attoniti.
Addio Silvio, genio gentile e coraggioso, deciso ma col sorriso, che hai insegnato che si può essere buoni e di successo. Ti porterò nel cuore e nei comportamenti della mia vita. Sapendo di non poterti eguagliare. Perché eri migliore di noi. Eri il migliore di noi. Ma non ce lo hai mai fatto pesare.
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