Il post-elezioni
Sinistra disastrosa in Liguria. I finti riformisti e il vizio di fabbrica di un campo sempre più vago
Ma davvero credono che il problema sia Giuseppe che non ha mai perdonato Matteo di averlo fatto fuori, e di Beppe che non ha mai perdonato Giuseppe di averlo fatto fuori? A questo si è ridotta la fu sinistra italiana? Ad una resa dei conti per scoprire quale rancore sia più colpevole?
La sconfitta in Liguria servirebbe solo se fosse vista nella sua vera luce. Non è un giudizio sui comprimari. È una bocciatura dei protagonisti. Non è un processo a Conte o a Renzi, è una sentenza degli elettori dopo le sentenze dei magistrati. Questi ultimi avevano avvertito che senza di loro non si governa.
I finti riformisti
Gli elettori si riprendono la scena per dire alla sinistra che è l’esatto contrario: per governare servono i voti, non le piazzate sotto casa di un governatore arrestato senza reati. Il vizio di fabbrica di questo campo è di essere un campo vago su tutto, dalla politica estera all’economia, escluso che sul populismo giudiziario. È lì che alla fine si gioca, è lì che regolarmente ci si sfracella. E ciò avviene nel rigoroso silenzio di coloro che nel Pd si fanno chiamare “riformisti”. In teoria, dovrebbero favorire un robusto ricambio d’aria nel partito che solo pochi giorni fa, insieme a Conte, proclamava: “Impediamo un altro caso Toti”. Ma non perché con questi sistemi di “dossieraggio per legge” ogni libertà politica viene di fatto incrinata. No. Perché si puntava solo a vincere per assenza degli avversari. Invece si perde, per assenza degli elettori e anche di manine riformiste che si alzano per dire basta alla scorciatoia manettara.
Un gol a porta vuota sbagliato
Il giustizialismo è una coperta sotto cui nascondere tutto. Matteo Renzi offende la sua intelligenza quando dice che il problema sono i veti interni che hanno prodotto 10mila voti in meno rispetto alle europee. Da quando la politica è somma di sigle e non proposta credibile? E quale proposta può essere credibile se ti metti insieme a chi ti ritiene addirittura “un faccendiere”? La sconfitta in Liguria è una sentenza anche contro il velleitarismo di chi prima demolisce il suo campo e poi pretende che gli altri allarghino a dismisura il proprio. Se il centrosinistra ha sbagliato il gol a porta vuota, come dice il candidato Orlando, prima ancora la palla in tribuna l’avevano mandata Renzi e Calenda, sprecando per ragioni personali la grande occasione di un’area riformista forte e influente.
Un nuovo capopopolo
In Liguria risalta l’antica velleità di comprimere in un cartello le istanze più inconciliabili e poi veleggiare uniti sulle ali della demagogia. La baruffa fra Italia Viva e 5 Stelle fa tornare alla mente il famoso video in cui il presidente incaricato Renzi supplicava Beppe Grillo di entrare nel suo governo. In quel momento Matteo era già un ex rottamatore. La narrazione populista era sostituita da un approccio dialogante e ragionevole. Ma per il Grillo parlante e sbeffeggiante, la politica, che pure lo incoronava, era il ricettacolo di tutti i virus. Quindi, ogni accordo diventava per definizione “inciucio”. Dopo 10 anni, tocca a Grillo fare i conti con un nuovo capopopolo che lo accusa di restare attaccato al partito per bassi interessi personali.
Il consenso dura il tempo di una sbornia
In 10 anni, Grillo e Conte hanno dilapidato decine di milioni di voti perché il consenso fondato sulla fede messianica nel salvatore della patria dura il tempo di una sbornia. Se Elly Schlein ha un partito solido che nelle urne non arretra, è perché ha mantenuto perlomeno un profilo plurale. Sebbene di fatto monolitico. Ma il bacio delle procure resta da 30 anni il suo bacio della morte. La sinistra farà bene a svegliarsi dal cliché della coalizione dei “buoni” che vince per diritto divino. O grazie al partito-fratello delle toghe che briga per scalzare Meloni perché vuole “riscrivere la giurisdizione”. Cioè, fare politica. Quando, in realtà, il suo vero limite è che non lo fa. Anche lei non osa.
© Riproduzione riservata