Nemmeno il tempo di compiere un’impresa che da Melbourne ha colorato di azzurro il mondo intero, che a Jannik Sinner hanno dovuto iniziare a rompere le palle. Questa è l’Italia di oggi, e non da oggi per la verità. Una nazione piena di cacadubbi, con una mentalità che si gioca contro. Dopo aver avvelenato il suo rientro in patria con la storia della sua residenza fiscale (polemica ridicola, da moralisti un tanto al chilo) ora è il turno del: “Ma ti pare che Sinner non vada a Sanremo?”. Come se avesse rifiutato un invito dal Presidente della Repubblica o dal Papa. Non basta nemmeno che lui abbia spiegato timidamente di non sentirsi del tutto a suo agio perché non si ritiene uno showman e di preferire continuare ad allenarsi. Serietà e umiltà. Niente, non vanno bene manco queste.

E cosi su Sinner, che è italiano e cittadino del mondo, cala la scure dei provinciali che credono che se non si vede a Sanremo, una cosa o una persona non esiste, non ha una consacrazione. Roba di 40 anni fa. Peraltro, a volerla dire tutta, è Sinner che serve a Sanremo, non certo il contrario. Capisco l’interesse ad avere una star del momento, per giunta italiana, sul palco come già accaduto qualche anno fa con Novak Djokovic e con Matteo Berrettini, altro ragazzo d’oro dentro e fuori dal campo, e altro cui l’esercito degli invidiosi rompipalle italici contesta la fidanzata anziché incoraggiarlo nel riprendersi da una lunga serie di sfortunati infortuni.

La scelta

Ma insomma ragazzi, Sanremo è uno splendido show, però non è il metro unico o il battesimo dell’importanza di un personaggio o di una storia. Capisco che questo assunto di normalità appaia folle in un ambiente dove per un quarto d’ora di celebrità moltissimi si venderebbero la madre (anche a pochi spicci), ma esiste anche una folta schiera di persone, di cui evidentemente fa parte questo ragazzo, che è protagonista naturale per quel che con professionalità e dedizione fa, e non per il fatto di parlare da un palco dedicato a cantanti e intrattenitori e da cui spesso si sono affacciati autentici mitomani a sproloquiare monologhi francamente ridicoli (che non cito per carità di patria).

L’esempio di Baggio

D’altronde, cosa si potrebbe chiedere di fare a Sinner a Sanremo? Forse la stessa cosa che fece anni fa un mito come Roberto Baggio: declamare una lettera ai giovani, in cui ispirarli, motivandoli al lavoro (visto che per anni gli abbiamo raccontato che potevano stare sul divano a fare nulla tanto gli davamo la paghetta di Stato del Reddito di Cittadinanza) e all’impegno nell’inseguimento dei propri sogni, o al rispetto per dei bravi genitori di cui sono il prodotto. Ma sono tutte cose che Sinner ha già fatto, tra interviste post partita e discorso da vincitore in Australia prima, e in conferenza stampa a Roma poi, l’altro ieri, e che tutti abbiamo letto e ascoltato. Dopo di che, la parola guida, ma un esempio conduce. E lui è esempio per quel che fa in campo, per come è arrivato a farlo e lo fa, e per la serietà con cui è personaggio e professionista. Non serve che dica. Anzi.

Fa benissimo a sottrarsi al palleggio, racchetta in mano, con Amadeus o chi per lui. È una star italiana moderna. Faccia quel che vuole, evviva. Noi applaudiamolo in campo, dove – li sì – potrà guadagnarsi l’immortalità dei grandissimi.