Alla fine, Hamas ha deciso. Il nuovo capo dell’ufficio politico, colui che prenderà le redini dell’organizzazione palestinese dopo l’uccisione di Ismail Haniyeh a Teheran, è Yahya Sinwar. La mente del 7 ottobre, l’uomo più ricercato da Israele, colui che si nasconde nelle viscere della Striscia di Gaza, circondato dagli ultimi ostaggi rimasti in vita che rappresentano l’assicurazione sulla sua sopravvivenza. Un uomo ricercato da tutte le agenzie di sicurezza israeliane: il nemico numero uno per lo Stato ebraico, che ha iniziato una caccia spietata da quando ha iniziato l’operazione militare a Gaza. E che ora se lo ritrova a guidare Hamas proprio nel momento in cui lo stesso Sinwar è più debole. Pressato dalle Israel defense forces dopo dieci mesi di guerra e da una lunga lista di comandanti locali che iniziano a temere il peggio e di non poter più resistere a un assedio che non dà tregua alla milizia.

Sinwar lo sa. Ma sa anche che la sua scalata al potere non poteva fermarsi. Da quando è nato, nel 1962 in campo profughi di Khan Younis, ha vissuto con l’idea di vendicarsi di Israele. A venti anni subisce il primo arresto da parte della giustizia israeliana. Poi un altro, dopo avere partecipato alla fondazione di Hamas, con quattro ergastoli per avere ucciso due soldati israeliani in un attacco terroristico. Passa venti anni in carcere, da cui ordina omicidi di quelli che ritiene collaborazionisti di Israele. Dodici uomini uccisi, al punto da essere soprannominato Abu 12. Viene liberato in uno scambio di prigionieri per riavere in Israele il soldato Shalit. E da quel momento è diventato un fantasma. Un’ombra che da decenni combatte per avere il potere. Per più di venti anni ha guidato la sicurezza di Hamas. Da tre anni è leader assoluto della milizia palestinese nella Striscia di Gaza. E ora ne è diventato il capo politico.

La sua elezione è arrivata dopo un duro scontro con Khaled Meshal. Un pezzo da novanta. Il “martire vivente” che ha superato addirittura un tentativo di assassinio del Mossad. E il voto unanime in suo favore del consiglio della Shura è un segnale chiarissimo: Hamas vede nella resistenza a Gaza un motivo per rafforzarsi e compattare i suoi ranghi. E Sinwar, colui che ha tenuto sotto controllo un’intera regione dopo il voto con pugno di ferro, esecuzioni e piani bellici, è considerato l’uomo giusto. Soprattutto perché vicino all’Iran, unico vero alleato e sostenitore di Hamas in questo momento di scontro totale con Israele. La sua vicinanza con Teheran è stata probabilmente la ragione principale del voto in suo favore.

È lui che ha saldato l’asse con l’Iran in tempi in sospetti, anche superando la differenza tra sciiti e sunniti. E in questo ha avuto un forte allineamento con Haniyeh. E il messaggio arrivato dalla Shura di Hamas è questo asse deve continuare anche nel prossimo futuro. Quantomeno finché a Gaza continuerà la guerra. È per questo che ieri Israele ha parlato chiaro. Il ministro degli Esteri, Israel Katz, ha sentenziato sul suo profilo X che la nomina di Sinwar come capo del Politburo di Hamas dimostra che “la questione palestinese è ora completamente controllata dall’Iran e da Hamas” e che “senza l’azione israeliana a Gaza, l’area cadrebbe interamente sotto il controllo di Hamas”.

“In Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr), Abu Mazen e l’Autorità Nazionale Palestinese sopravvivono solo grazie alle intense operazioni militari di Israele contro Hamas e le infrastrutture del Jihad Islamico, che sono supportate e promosse dall’Iran” ha proseguito il capo della diplomazia di Benjamin Netanyahu. E questo indica che per lo Stato ebraico ormai Hamas è parte integrante dell’Asse della resistenza e che ora le trattative con Ramallah sono interrotte. La sua unione con le sue milizie sciite è stata certificata anche dalle congratulazioni per Sinwar giunte dagli Houthi nello Yemen e dagli Hezbollah in Libano. Ma ora resta il nodo degli ostaggi e della tregua. E dagli Stati Uniti, il segretario di Stato Tony Blinken è stato chiaro. Sinwar “è stato e rimane il principale decisore quando si tratta di concludere il cessate il fuoco, e quindi penso che l’annuncio della sua nomina sottolinei solo il fatto che spetta a lui decidere se andare avanti con un cessate il fuoco che chiaramente aiuterà così tanti palestinesi in disperato bisogno, donne, bambini, uomini che sono presi nel fuoco incrociato”. Il destino di Gaza e degli ostaggi israeliani, ora più che mai, è nelle mani dell’uomo più ricercato dal Mossad.