Che trattamento medio hanno ricevuto dal 7 ottobre dell’anno scorso in qua, nelle aule di giustizia del nostro paese, i fatti di propaganda e aggressione antisemita? È molto interessante. E, a volte, altrettanto deprimente. Diciamo che in linea di massima e nella maggioranza dei casi, quanto meno in relazione a quelli più sfacciati e indifendibili, la giustizia italiana è intervenuta positivamente accertando l’illiceità di propalazioni insultanti e offensive rivolte a questa o quella vittima (persone fisiche, associazioni, testate giornalistiche, eccetera).

La sensibilità civile mal combinata

Ma non raramente – e addirittura in qualche occasione in cui pure il giudice riteneva illecito il comportamento di chi insultava, e ingiustamente leso il diritto di chi era insultato – si è assistito a decisioni che tradivano, se non proprio un pregiudizio antisemita, almeno una sensibilità civile assai mal combinata. Qualche esempio. In un caso un signore aveva definito una testata giornalistica, e il direttore della stessa, “merde sioniste”. Il giudice, correttamente, considerava illecito quell’insulto, ma riteneva di motivare la decisione spiegando che in un certo precedente era stato ritenuto illecito il dare di “mafioso di merda” a un mafioso. Di modo che, a sua volta, doveva appunto ritenersi illecito evocare quell’escremento a proposito del “sionista”. Capirà chiunque che tra i tanti paragoni disponibili e tra i diversi argomenti di motivazione utilizzabili, ebbene fare ricorso a quelli che “proteggono” il sionista insultato in base allo stesso titolo per cui è protetto il mafioso insultato suscita, come dire, qualche motivo di perplessità.

“Sionista” vale “mafioso”

Sicuramente il giudice non avrà avuto in testa questo, per carità, ma c’è caso che un lettore possa ritenere che se “sionista di merda” vale “mafioso di merda”, allora “sionista” vale “mafioso”. Un’equivalenza senz’altro corrente nei cortei filoterroristi e nei talk show che esplorano l’argomento dal fiume al mare ma che – si azzarda – non dovrebbe fare capolino nemmeno per sbaglio in un provvedimento di giustizia. O no?
Un altro caso. Un noto giornalista è accusato di “coprire e giustificare il genocidio” (di Gaza) perché sarebbe parte del potere sionista che controlla i mezzi di informazione. Questa volta il giudice non riesce neppure a ritenere illecito l’addebito. E, per respingere il ricorso del giornalista, ricorre all’argomento secondo cui quell’accusa è dopotutto lecita giacché il controllo sionista dei mezzi di informazione è “oggetto di un acceso dibattito che divide l’opinione pubblica internazionale”.

Insomma, siccome in tanti lo sostengono, ci sta. È un po’ come la violenza sessuale su una donna che lamenta di essere stata costretta a un esercizio di sesso orale, accusa da accantonare poiché – come diceva la difesa in un noto processo, e come la bell’Italia codina e maschilista approvava in maggioranza – per sottrarsi a quella violenza “bastava un morsetto”. Oppure un po’ come dire “sporco ladro d’uno zingaro” a un rom, perché si ammetterà che c’è un acceso dibattito sulle attitudini delinquenziali di quella gente. E potremmo continuare, magari per giungere a ipotesi che lambiscono anche meglio il caso deciso dal tribunale. Pare, per esempio che ci sia ampio dibattito sul fatto che gli ebrei controllino, nonché i mezzi di informazione, il sistema bancario e finanziario, di modo che dire a un ebreo “usuraio schifoso” dopotutto non sarebbe così inadeguato.
Si ripete. Non è tutta così la giustizia in argomento. Ma è anche così. E non lascia tranquilli.