La questione siriana resta uno dei dossier più importanti della comunità internazionale. Quale direzione prenderà Damasco? Ci si può davvero fidare di un leader come Abu Muhammad al Jolani (che ora si fa chiamare col suo vero nome, Ahmed Sharaa) nonostante il suo passato legato al jihadismo? Riuscirà il mosaico siriano a mantenere la sua tradizionale coesistenza tra fedi e minoranze anche senza la repressione del regime baatista? O le milizie più radicali prenderanno il sopravvento lasciando così il Paese in una guerra civile latente? I dubbi rimangono.

Come rimane anche il disastro umanitario che la Siria non vive certo dalla caduta di Bashar al-Assad ma dalla guerra civile. Un abisso finanziario, infrastrutturale, economico e sociale su cui adesso la comunità internazionale si interroga anche per comprendere il futuro di Damasco senza i vecchi sponsor del regime: Iran e Russia. La macchina degli aiuti è già partita. L’Arabia Saudita ha inviato diversi aerei carichi di beni di prima necessità. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che oggi sbarca a Damasco, ha detto che nella capitale siriana annuncerà “un primo pacchetto di intervento della Cooperazione allo sviluppo con il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile italiana”. Ma prima di tutto c’è da comprendere il presente e il futuro del Paese mediorientale. Ed è anche per questo che il capo della Farnesina, prima di volare per la Siria, ha convocato a Roma un vertice del Quint, la piattaforma che riunisce Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Unione europea.

All’incontro di Villa Madama hanno preso parte il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, il ministro degli Esteri del Regno Unito, David Lammy, l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Kaja Kallas, e alti funzionari di Berlino e Parigi. E l’obiettivo è stato quello di fare il punto sulla transizione tra vecchio e nuovo regime a un mese dal rovesciamento di Assad. Per l’Occidente è essenziale che il processo di trasformazione della Siria avvenga nel modo più pacifico e limpido possibile, con un percorso chiaro e che tenga conto dei paletti dei governi europei e di Washington, a partire dall’inclusione e della protezione di tutte le comunità che compongono la popolazione siriana.

Tajani ha di nuovo acceso i riflettori sulle sanzioni. “Un tema che va affrontato perché non c’è più Assad, c’è una nuova situazione e credo che i segnali incoraggianti che arrivano” da Damasco “debbano essere ulteriormente incoraggiati” ha detto il ministro prima della riunione del Quint. Ma le incognite sono molte, a partire dal posizionamento di Damasco e del suo leader, Sharaa, nello scacchiere mediorientale. La caduta di Assad ha tagliato fuori l’Iran e indebolito la Russia. Ma se Teheran è la grande sconfitta politica, il Quint deve valutare come gestire gli sviluppi geopolitici della Siria e dei protagonisti regionali. Uno è sicuramente la Turchia, che dall’inizio dell’offensiva partita da Idlib ha mostrato di avere un ruolo essenziale in questa nuova Siria post-Assad. E non a caso, prima del vertice di Roma, Tajani ha telefonato proprio al suo omologo turco, Hakan Fidan per discutere del dossier siriano in vista del vertice romano e del viaggio a Damasco (dove incontrerà Jolani, il suo omologo siriano e i rappresentanti cristiani).

L’asse diplomatico tra Roma e Ankara sul dossier siriano è stato certificato anche da un’altra telefonata avvenuta ieri pomeriggio: quella tra il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. I due leader hanno parlato dell’importanza della stabilizzazione e del processo di ricostruzione del Paese mediorientale. E, come si legge in una dichiarazione della presidenza della Repubblica turca, “Erdoğan ha espresso la sua convinzione sul fatto che la revoca delle sanzioni contro la Siria, assieme ad una leadership dell’Italia in questa materia, gioverebbe al processo” di ricostruzione. Un tema essenziale che si unisce anche a quello non meno spinoso del ritorno dei rifugiati”.

Il ministro dell’Interno, Ali Yerlikaya, ha detto che dalla caduta di Assad oltre 52mila siriani che si trovavano in Turchia hanno fatto rientro nel loro paese. A preoccupare è anche la situazione dei profughi in Libano, dove la stabilizzazione con l’elezione del presidente Joseph Aoun può essere un segnale utile anche a gestire i rapporti tra vicini sulla questione dei rifugiati. E in Siria, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, nella prima metà del 2025 è probabile che torneranno circa un milione di persone.