In Siria si stanno combattendo tre guerre. Una dentro l’altra. Se non si capisce di quali guerre si tratta e chi le combatte per conto di chi, è impossibile capire cosa sta succedendo al confine meridionale della Turchia, quale crisi regionale sta scoppiando alle porte dell’Europa e in quale maniera il presidente turco Erdogan sta usando come arma politica verso l’Unione Europa i 3,7 milioni di rifugiati siriani già sul territorio turco, gli sfollati da Idlib in fuga verso nord (obiettivo mirato della campagna siriana di sfollamento della regione per favorire l’avanzata dell’esercito di Assad) e gli altri immigrati presenti in Turchia. In Siria è in corso, da nove anni, una guerra civile tra i sostenitori del presidente Bashar al Assad e i suoi avversari in un assetto a geografia variabile. Una guerra dei curdi per l’indipendenza (buona parte del popolo curdo vive nel nord della Siria, alla fine della Seconda guerra mondiale gli fu promesso uno Stato indipendente che non venne mai creato). E una terza guerra tra Russia e Turchia che in Siria si combattono per procura.

Questa terza guerra ha origini storiche nel desiderio – mai abbandonato da Mosca, nemmeno dalla Mosca di Putin – di avere uno sbocco strategico nel Mediterraneo. Ci riuscì l’Unione sovietica nel 1977, quand’era segretario del Pcus Leonid Breznev. Fu lui a cercar di tessere buone relazioni con vari Paesi del Mediterraneo. Il successo migliore lo ebbe con la Siria del generale Hafez al Assad, padre dell’attuale presidente siriano Bashar al Assad. Il partito di Assad, il Baath, era interessato a schierarsi con il blocco dei Paesi satelliti dell’Urss. A Mosca servivano un porto e un aeroporto nel Mediterraneo e la Siria gli diede il porto siriano di Tartus e l’aeroporto di Latakia. Entrambi sono ancora basi russe.

Cosa c’entra con tutto ciò la Turchia di Erdogan? C’entra. Perché quando, nel 2010, scoppiarono rivolte in molti Paesi arabi affacciati sulle coste sud del Mediterraneo, le famose “primavere arabe”, la Turchia rimase impermeabile ai ribaltamenti ed Erdogan decise di approfittare della debolezza dei governi vicini per espandere il suo potere. Approfittò quindi dell’insurrezione contro Assad e si mise dalla parte dei ribelli. Lì trovò la Russia schierata dall’altra parte, molto interessata a che Assad mantenesse il potere. Cominciò così l’ennesimo scontro di due nemici storici – la prima guerra turco russa è del 1768, poi ne sono seguite altre – questa volta schierati in una guerra per procura su territorio siriano.

La zona teatro dei combattimenti di cui si parla in questi giorni è quella di Idlib, nord est della Siria al confine con la Turchia. Non è una regione qualsiasi. E’ una regione ribelle, cuore della rivolta contro Assad che infatti vuol riprendersi con il suo esercito quell’area del Paese. Preferirebbe però riprendersela spopolata. E’ questo il punto. E’ grande interesse di Assad, quindi, cacciare le persone di Idlib dalle loro case. Per mandarle in Turchia o in Europa, non è affar suo (ma lo è, invece, di Erdogan). L’importante per Assad è avere meno persone di Idlib possibile ad Idlib, così da ridurre, una volta riconquistato il territorio, la possibilità di incubazione di nuove rivolte. Lì è in corso una escalation della guerra. I siriani, sostenuti dai russi, hanno inflitto grosse perdite ai turchi in quell’area nell’ultimo mese.